Terremoto al centro Italia, le promesse mancate. In strada il 92% delle macerie e poche casette consegnate

20 giugno 2017 | 17:45
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Terremoto al centro Italia, le promesse mancate. In strada il 92% delle macerie e poche casette consegnate

A Sasha avevano detto che entro sette mesi avrebbe avuto una casetta di legno. Proprio lì a Visso, il suo paese distrutto. Era novembre. Sasha, oggi, vive ancora in una roulotte. A Marco, 11 anni, avevano detto che la sua classe sarebbe rimasta unita, che non avrebbe perso i compagni di scuola: a settembre, per […]

A Sasha avevano detto che entro sette mesi avrebbe avuto una casetta di legno. Proprio lì a Visso, il suo paese distrutto. Era novembre. Sasha, oggi, vive ancora in una roulotte. A Marco, 11 anni, avevano detto che la sua classe sarebbe rimasta unita, che non avrebbe perso i compagni di scuola: a settembre, per il secondo anno di fila, ne conoscerà di nuovi sulla costa adriatica. A Enzo, allevatore di Castelsantangelo sul Nera, avevano detto che gli avrebbero portato una nuova stalla. Sta per iniziare la prima estate del dopo terremoto e le sue bestie dormono in quel che rimane della vecchia. Avevano promesso. Le istituzioni avevano promesso. Il governo Renzi prima, il governo Gentiloni poi, i governatori regionali. Tutti. Hanno fatto credere agli abitanti del cratere più vasto della storia del nostro Paese – 131 comuni in quattro Regioni – che “presto” sarebbero tornati a una vita, tutto sommato, accettabile. Che “presto” sarebbe finita. Dieci mesi dopo, invece, non è nemmeno cominciata: le macerie sono a terra, di casette ne sono arrivate pochissime, la ricostruzione è un miraggio. Una volta c’era “il modello Bertolaso” che, in nome della rapidità, calpestava regole e aggirava i controlli: la somma urgenza invocata per qualsiasi cosa, i Grandi Eventi, le deroghe, le ordinanze di Protezione civile firmate direttamente dal Presidente del consiglio. E abbiamo visto con quale facilità si sono inseriti speculatori e corruttori all’Aquila, al G8 della Maddalena, ai mondiali di nuoto del 2009. Ora, in una sorta di contrappasso, siamo precipitati nel “modello Burocrazia”: il cavillo, la carta bollata, l’indecisione spaventata di chi negli enti pubblici pretende dieci autorizzazioni anche solo per puntellare un muro. «Non si può fare più in fretta», vanno dicendo a Roma i tecnici della Struttura di Missione della Presidenza del consiglio. «Le normative sono quello che sono e il cratere è troppo grande». Sventolano mappe, leggi, ordinanze. Fanno confronti. «Ci sono 208.000 abitazioni da verificare e non abbiamo ancora finito: dopo il terremoto dell’Aquila ne avevamo 75.000, in Emilia 42.000. Vi rendete conto?». Undici passaggi per un prefabbricato. «Vi rendete conto?», si chiede il sindaco di Visso, Giuliano Pazzaglini. Per accedere alla zona rossa del suo paese deve attraversare una capanna accanto alla pasticceria vissana. «In sette mesi dovevano arrivare le casette di legno», mormora. «Mica me lo sto inventando, c’è scritto sul sito della Protezione Civile. Sapete quante ne abbiamo viste a Visso? Zero». Sulle casette antisismiche le promesse si sono frantumate, fin da subito. «Entro Natale daremo le prime venti ad Amatrice», dichiarò il 23 settembre l’allora premier Renzi. Le famiglie amatriciane le hanno avute a marzo. Finora ne sono state ordinate 3.620 in 51 comuni del cratere. Consegnate? Appena l’8 per cento: 296 in tutto, e quelle effettivamente abitate (188) sono soltanto in due comuni, Amatrice e Norcia. Il “modello Burocrazia”. Come un rosario, Pazzaglini sgrana la farraginosa procedura imparata a memoria. «Il sindaco deve stabilire quante casette servono, poi individua le aree dove metterle, poi la Protezione civile deve valutarle, poi interviene il genio civile regionale, poi si passa all’esproprio, poi la società incaricata disegna il layout, poi il layout deve essere autorizzato in municipio, poi torna in Regione, poi la Regione dà l’incarico per la progettazione, poi il progetto passa all’Erap (Ente per l’abitazione pubblica, ndr) di Pesaro e infine la gara la fa l’Erap di Macerata…». Si contano almeno undici passaggi. E una selva di sigle, dentro cui si perde chi sta provando a rialzarsi dopo il sisma: Sae, Map, Dicomac, Aedes, Fast, Erap, Mude, Mapre, Cas. «A gennaio ho comunicato che mi servivano 225 casette: sei mesi sono passati e niente si muove». Norme modificate tre volte al mese. Siamo ancora nella fase uno del post terremoto, quella dell’emergenza, sotto la responsabilità condivisa della Protezione Civile e dei governatori di Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo. Si muovono all’interno della cornice del decreto legge 189 del governo Renzi, già modificato tre volte: dal successivo decreto Gentiloni, dalla finanziaria e dalla recente “manovrina”. E si devono districare tra le 29 ordinanze firmate dal Commissario straordinario alla ricostruzione Vasco Errani, dieci delle quali intervenute a cambiare le precedenti. Come nel caso delle casette di legno, quando si sono accorti che l’iter era troppo lungo. «Con le norme che mutano due-tre volte al mese la ricostruzione non si farà mai», si lamenta Marco Rinaldi, ingegnere ed ex sindaco di Ussita, dimessosi dopo un avviso di garanzia ricevuto per un’indagine che non c’entra col terremoto. «A Roma devono capire che qui c’è stata la Seconda guerra mondiale». Quest’ansia di non farcela è stata raccolta dall’Anci e dal suo presidente, Antonio Decaro, del Pd, che ha chiesto al premier Gentiloni un incontro urgente. «I ritardi accumulati sono troppi. Se neanche a settembre le casette dovessero essere pronte le famiglie saranno costrette a iscrivere i figli in scuole diverse e lontane per il secondo anno di fila. Così le comunità si perdono, non torneranno più».  Solo l’8 per cento di detriti raccolti. Come fanno a tornare, se per strada hanno i frantumi delle case crollate? Secondo una stima per difetto ci sono 2,3 milioni di tonnellate di macerie da rimuovere: da quel 24 agosto, quando il primo terremoto distrusse Amatrice e Accumoli, la macchina dell’emergenza è stata in grado di portarne via 176.700, meno dell’8 per cento. Nel Lazio hanno cominciato a novembre: rimosse 98.000 su un milione; in Umbria 3.700 su 100.000; in Abruzzo 10.000 su 100.000. Nelle Marche sono partiti solo ad aprile. Ad oggi hanno raccolto appena 65.000 tonnellate su un milione. Il 6,5 per cento del totale. Nelle province di Macerata, Fermo e Ascoli, le più colpite dalla scossa del 30 ottobre (6.5 gradi, la più forte degli ultimi 37 anni), si procede a passo di lumaca. Per dire: ci sono voluti cinque mesi e sette autorizzazioni perché la Conferenza dei servizi autorizzasse la ditta Htr a portare macerie nel sito di stoccaggio di Arquata. Htr vince l’appalto a novembre, i camion si sono mossi ad aprile. Accanto a questa lavorano due aziende pubbliche che si occupano di rifiuti: Cosmari nel Maceratese e Picenambiente nell’Ascolano. È una precisa scelta del governo, che ha equiparato le macerie a “rifiuti urbani non pericolosi”, dunque scommettendo sugli operatori che normalmente si occupano della spazzatura. Prezzo medio: 50 euro a tonnellata. Giuseppe Giampaoli, direttore della Cosmari, nonostante tutto è ottimista. «Entro il 2018 ce la faremo». Al momento nelle Marche viaggiano a un ritmo di 1.200 tonnellate al giorno: a spanne serviranno non meno di due anni e mezzo. «Ma a regime raggiungeremo le 2.000 tonnellate», promettono dalla Regione. «Il nostro territorio è a forte rischio idrogeologico, motivo per cui si è faticato a individuare aree idonee dove mettere casette e macerie». Cercasi personale disperatamente. Sono, e saranno, mesi di superlavoro. Per questo il decreto Renzi ha previsto una norma ad hoc per aiutare i municipi più piccoli: l’articolo 50 bis autorizza l’assunzione di 350 persone a tempo determinato, da dividere in quote fra le varie amministrazioni. Sembra facile, invece è complicato. Il decreto infatti impone di scegliere i nomi attingendo alle graduatorie pubbliche vigenti, seguendo la procedura ordinaria che tutela la trasparenza e che però, declinata nel cratere, si è rivelata un ostacolo. La spiega così Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice: «Mettiamo il caso che mi serva un geometra e che sia disponibile a venire qui uno che è classificato cinquantesimo nella graduatoria a Roma. Prima di prenderlo devo mandare un telegramma, a 6 euro l’uno, agli altri 49 e aspettare la loro risposta. Se qualcuno si oppone, si blocca tutto. Ancora: per ogni assunzione serve un Rup, responsabile unico del procedimento. Ma un funzionario comunale per essere Rup deve avere almeno dieci anni di anzianità. E dove li vado a trovare? In comune ho 14 posti scoperti che non riesco a riempire». Un’alternativa sarebbe pescare tra i 350 collaboratori assumibili durante l’emergenza, come previsto dal governo. Ma, fanno notare dall’Anci, si tratta di contratti co.co.pro che scadono il 31 dicembre e in pochi li hanno già firmati. «Non avranno neanche il tempo di realizzare dove si trovano». A rischio cinquemila contributi. Fin qui la gestione dell’emergenza. Ma la fase due? La ricostruzione di prime e seconde case è diretta responsabilità del Commissario Errani. Con le macerie a terra e le zone rosse sigillate è prematuro anche solo parlare della rinascita dei centri storici più devastati. Per i danni lievi, invece, il timore è che qualcuno possa perdere il treno dei contributi statali. Per averli infatti bisogna presentare una domanda allegando lo stato dell’immobile (la famigerata scheda Aedes). I tecnici della Protezione civile hanno fatto 184.700 sopralluoghi su 208.000 case da verificare: ne mancano 23.000, di cui 19.200 nelle Marche. «Senza la scheda, niente contributi», spiega Paolo Vinti, presidente dell’Ordine degli architetti di Perugia. «Il tempo stringe perché il termine scade il 31 luglio 2017. Siamo stati fermi per nove mesi, a studiare ordinanze che cambiano di continuo. Solo a maggio siamo partiti coi rilievi per i progetti di ristrutturazione e i comuni non sono in grado di fornirci le relazioni geologiche. È impossibile farcela». Trentuno luglio 2017, manca un mese. «Quella è solo una data indicativa», sostengono i tecnici della Presidenza del consiglio. E però l’ordinanza 20 del 7 aprile recita: «Il mancato rispetto del termine determina l’inammissibilità della domanda». Stando così le cose, una stima approssimativa dei sindaci calcola in cinquemila le pratiche a rischio esclusione. «Se sarà necessario, emetteremo un’altra ordinanza e adegueremo i termini», tagliano corto dal governo. Comunque sia, un pasticcio. Come quello di far pagare le imposte di successione sui ruderi ereditati, per cui Pirozzi minaccia di riconsegnare la fascia di sindaco se il governo, come però ha promesso ieri, non modificherà la legge. Istituzioni senza fiducia. Nel cratere, è evidente, c’è bisogno di ricostruire anche la fiducia nelle istituzioni, e puntellare i palazzi non sarà sufficiente. Errani ci sta provando, con un pacchetto di norme all’avanguardia per disciplinare la ricostruzione. Ma quello è il domani. Oggi la realtà è rappresentata dalla durezza di quei due dati: il 92 per cento delle macerie a terra, il 92 per cento delle casette di legno non consegnate. A Roma negano che la crisi del governo Renzi di dicembre e i rapporti complicati tra Errani e gli ex compagni di partito del Pd abbiano potuto influenzare la gestione dell’emergenza. Eppure si sente la mancanza di un’autorità che abbia il coraggio di assumersi responsabilità straordinarie. E la forza di scartare due modelli ugualmente fallimentari: il “modello Bertolaso” e il “modello Burocrazia”. (la Repubblica)