Bari. Infermiera licenziata: aveva accolto un gatto randagio su bus dei malati
Licenziata per aver voluto aiutare quel micetto, caricandolo sul pullmino che trasportava i malati di Alzheimer a casa. Il gattino «era lì, magrolino, in una scatola di cartone. Lo avevano abbandonato. Mi guardava e miagolava per la fame. Come facevo ad abbandonarlo? Anche se non sono veterinaria, non mi pareva avesse la rogna. Così l’ho […]
Licenziata per aver voluto aiutare quel micetto, caricandolo sul pullmino che trasportava i malati di Alzheimer a casa. Il gattino «era lì, magrolino, in una scatola di cartone. Lo avevano abbandonato. Mi guardava e miagolava per la fame. Come facevo ad abbandonarlo? Anche se non sono veterinaria, non mi pareva avesse la rogna. Così l’ho preso, era piccolo, stava sul palmo della mano. L’ho mostrato alla dottoressa. “L’ho trovato in strada. Lo teniamo? Starebbe in giardino…”. Ma la risposta del medico è stata tassativa: “Non sappiamo nulla della sua provenienza. Potrebbe essere ammalato. Riportalo dove l’hai trovato”. Non ho potuto fare altro che obbedire», racconta a tre mesi da quel giorno Patrizia Antonino, operatrice socio sanitaria di 43 anni, ex dipendente a tempo indeterminato di una cooperativa sociale, la Anthropos, che si occupa di assistenza a malati di Alzheimer presso la casa di cura «Gocce di memoria», a Giovinazzo, una della più note nella provincia di Bari. L’infermiera, senza figli, nubile, a carico una mamma di 87 anni con problemi di mobilità, si è ritrovata protagonista, suo malgrado, di una vicenda che ha creato un caso, anche sul web. All’indomani di quel primo incontro con il gattino ha ricevuto una lettera di sospensione dal lavoro cui è seguita l’audizione delle sue ragioni prevista dalla legge. Nel colloquio non è però riuscita a convincere il presidente della cooperativa che ha firmato il definitivo licenziamento. Provvedimento che lei ha impugnato subito, chiedendo il reintegro. «Assurdo, sono stata condannata per aver voluto fare un’opera buona», racconta adesso la donna che ricostruisce quel che poi è successo nel pomeriggio del 9 maggio. «Dopo aver riportato il gattino nella sua cuccetta di cartone sulla strada, ho fatto salire gli anziani accuditi durante il giorno sul pullmino che guido proprio io per riportarli a casa». Uscita dall’elegante giardino della casa di cura e percorsi pochi metri in strada, Patrizia ha però dovuto inchiodare bruscamente: «Il gattino era scappato dallo scatolone, camminava sull’asfalto, rischiava di essere investito. Così l’ho preso, portandolo nel van». Entusiasti i nonnetti a bordo: “Quant’è bello… teniamolo”, ha urlato la comitiva, preoccupata che io volessi abbandonarlo». Così l’infermiera ha deciso di proseguire il giro tenendo il gattino. All’ultima fermata pareva incombere il lieto fine: la nipote della nonnetta ha visto il micio «e mi ha chiesto di tenerlo, visto che ne aveva altri in giardino». Trovata una dimora a «Trovatello» – questo il nome – Patrizia ha terminato il suo turno «mai immaginando la successiva brutta sorpresa». Dalla direzione sanitaria della casa di cura confermano sostanzialmente il racconto dell’infermiera, assunta da cinque anni nella cooperativa. Ma il presidente della Anthropos resta convinto del provvedimento: l’operatrice andava licenziata perché il gattino «non poteva essere caricato sul pullmino, poteva avere malattie. Senza contare che non era custodito nella gabbietta di sicurezza come previsto dal codice stradale. In caso di pericolo improvviso, poniamo una frenata brusca, cosa sarebbe potuto succedere? È un comportamento che poteva mettere a repentaglio l’incolumità di tutti». Conclusione: è partita una raccolta di firme a favore di Patrizia rilanciata su «Firmiamo. it», il sito delle petizioni online. Le adesioni sono già oltre mille. «Licenziata per aver aiutato un gattino! È un’ingiustizia», è il post che sta diventando virale sui social. L’infermiera annuncia battaglia: i suoi legali hanno presentato il ricorso. Lei è sicura di aver fatto bene a raccogliere «Trovatello». «In questa storia bastava solo un po’ di elasticità». (Corriere della Sera)