Caso Cucchi, nuovo processo. Carabinieri accusati di omicidio

11 luglio 2017 | 19:21
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Caso Cucchi, nuovo processo. Carabinieri accusati di omicidio

Otto anni dopo, malgrado alcune prescrizioni intervenute – su tutte il reato di abbandono d’incapace per il quale la Cassazione aveva chiesto di annullare l’assoluzione dei medici del «Sandro Pertini» – ci sarà un nuovo processo per Stefano Cucchi, arrestato per spaccio alla periferia di Roma il 15 ottobre 2009 e morto in ospedale una […]

Otto anni dopo, malgrado alcune prescrizioni intervenute – su tutte il reato di abbandono d’incapace per il quale la Cassazione aveva chiesto di annullare l’assoluzione dei medici del «Sandro Pertini» – ci sarà un nuovo processo per Stefano Cucchi, arrestato per spaccio alla periferia di Roma il 15 ottobre 2009 e morto in ospedale una settimana dopo. A giudizio, per omicidio preterintenzionale, sono finiti i tre carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco che, quella notte, mentre erano in corso gli accertamenti che accompagnano sempre il fermo di un indiziato, lo sottoposero, secondo l’accusa, a un violento pestaggio. Il motivo? Cucchi si sarebbe rifiutato di collaborare sia alle perquisizioni che al fotosegnalamento. E per questo, secondo quanto scrive il pm Giovanni Musarò, il giovane fu colpito «con schiaffi, pugni e calci, fra l’altro provocandone una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale». Ma a processo, per decisione della gup Cinzia Parasporo, sono finiti anche i loro colleghi Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini, accusati (come pure lo stesso Tedesco) di aver testimoniato il falso durante il primo processo calunniando gli agenti della polizia penitenziaria benché innocenti e di aver mentito sulle circostanze del fotosegnalamento. Mandolini, in particolare, per il pm, aveva tentato di accreditare l’idea che il ragazzo non fosse stato sottoposto a fotosegnalamento su sua richiesta mentre la procedura fu elusa perché ritenuta rischiosa: le foto avrebbero testimoniato i segni delle percosse. «Finalmente i responsabili della morte di mio fratello, le stesse persone che per otto anni si sono nascoste dietro le loro divise andranno a processo e saranno chiamate a rispondere di quanto commesso», esulta Ilaria Cucchi, sorella di Stefano. «Ora gli imputati subiranno un giusto processo per le loro gravissime responsabilità» chiosa l’avvocato di famiglia, Fabio Anselmo. L’inizio del dibattimento è previsto per il 13 ottobre davanti alla terza Corte d’Assise, nell’aula bunker di Rebibbia. Ma come era nata l’inchiesta bis? Alle pressioni della famiglia, che non si è mai arresa, si è unita una circostanza favorevole. Le rivelazioni di un detenuto che aveva trascorso una notte in cella con Cucchi dolorante e che lo aveva sentito indicare nei carabinieri i responsabili delle percosse. La testimonianza di Luigi L. (questo il nome del detenuto) da sola non sarebbe bastata però, e infatti gli agenti della mobile coordinati dal pm Musarò e dallo stesso procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, hanno proceduto a una rilettura degli atti della prima indagine. Poi si sono affidati alle intercettazioni. Importantissima è stata la conversazione telefonica di D’Alessandro con l’ex moglie Anna Carino. È sua, la voce che, dall’altra parte del telefono, conferma l’ipotesi di un «violentissimo pestaggio» nei confronti del ragazzo: «Non ti ricordi – dice al marito – che mi raccontavi di come vi eravate divertiti a pestare “quel drogato di m..”?». Fondamentale anche l’esito della perizia medica che aveva messo in relazione le percosse con la «successiva abnorme acuta distensione vescicale» nel ragazzo. Vescica «non correttamente drenata» dai medici, usciti di scena grazie alla prescrizione. «La perizia medica acquisita con incidente probatorio, ha escluso qualunque responsabilità dei carabinieri – dice l’avvocato di Tedesco, Eugenio Pini – e questo porterà a una sentenza d’assoluzione». (Corriere della Sera)