Charlie, concesse 48 ore ai genitori per convincere i giudici che può vivere
«È dura per noi stare seduti in questa stanza! Si tratta di nostro figlio, tutto questo non è giusto!». La voce di Connie Yates taglia l’aula del tribunale. Per un attimo il silenzio cala nella Corte di Giustizia di Londra. Suo marito stringe nervosamente tra le mani un piccolo orsacchiotto di peluche. Poi la discussione […]
«È dura per noi stare seduti in questa stanza! Si tratta di nostro figlio, tutto questo non è giusto!». La voce di Connie Yates taglia l’aula del tribunale. Per un attimo il silenzio cala nella Corte di Giustizia di Londra. Suo marito stringe nervosamente tra le mani un piccolo orsacchiotto di peluche. Poi la discussione sulla vita e la morte del piccolo Charlie Gard riprende. Staccare la spina. «Non c’è nessuno qui che non voglia salvare il bambino», puntualizza il giudice Francis, che sarebbe «felice» di cambiare opinione rispetto alla sentenza che lui stesso pronunciò lo scorso aprile, quando autorizzò i medici del Great Ormond Street Hospital a staccare la spina al bimbo malato. «Ma dovrete convincermi che qualcosa di drammaticamente nuovo è cambiato», aggiunge, perché «la considerazione primaria è il benessere di Charlie». E dà 48 ore di tempo ai legali della famiglia per presentare le prove che una terapia alternativa può avere successo nel trattare il piccolo, affetto da una gravissima malattia genetica. Giovedì mattina ci sarà la nuova decisione, anche se il magistrato non esclude un ulteriore slittamento. Il caso è tornato ieri di fronte all’Alta Corte dopo che i pediatri londinesi hanno ricevuto una lettera da parte dei medici vaticani in cui si affermava che era disponibile una terapia in grado di funzionare col piccolo Charlie. Ma anche perché i legali del bambino li hanno minacciati di portarli in giudizio se non avessero tenuto conto della cosa. La prima sentenza del giudice Francis era stata convalidata da una Corte d’appello, dalla Corte suprema e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ma l’ospedale ha deciso di rimettersi di nuovo nelle mani della magistratura. Anche se l’avvocatessa che ieri rappresentava il Great Ormond Street Hospital è stata chiara: per i medici inglesi non c’è niente di nuovo nelle evidenze presentate, si tratta di studi già noti da anni che non forniscono nessuna garanzia di efficacia. Danni irreversibili. «Quando comincerai a dire la verità?» le ha allora urlato il padre di Charlie. «Ti stanno mentendo», ha lanciato all’indirizzo del giudice, mentre la moglie scuoteva la testa ripetendo «non è vero, non è vero». Ma il magistrato ha letto una dichiarazione dell’ospedale in cui si afferma che «è terribilmente ingiusto verso Charlie continuare il trattamento settimana dopo settimana sapendo che è contro il suo benessere». Il giudice ha ripetuto più volte che il bambino ha subito danni cerebrali strutturali irreversibili e che soltanto la prova che ci possa essere un miglioramento di questa condizione potrebbe convincerlo a cambiare idea: «È solo il suo corpo che cresce, il suo cervello non sta crescendo», ha affermato. Ma anche qui Connie lo ha interrotto: «Non è vero, gli infermieri hanno misurato la circonferenza della testa, è cresciuta di due centimetri solo nelle ultime settimane!». La madre di Charlie è convinta che il bambino risponda alle sollecitazioni. E il suo avvocato ha spiegato alla Corte che secondo un medico americano la terapia sperimentale ha il 10 per cento di possibilità di successo. «Il 10 per cento – è intervenuta di nuovo Connie rivolta al giudice – se fosse tuo figlio non lo faresti?». I genitori del bambino, tramite i legali, hanno tentato anche di ricusare il magistrato durante l’udienza, argomentando che la sua precedente sentenza non gli consente di deliberare in modo imparziale. Ma il giudice Francis ha rifiutato di fare un passo indietro: «Ho fatto il mio lavoro e continuerò a farlo – ha detto – se lasciassi questo caso verrei meno al mio dovere. Sarei felice di cambiare idea, ma devo applicare la legge». Enorme pressione. Il magistrato ha riconosciuto l’enorme pressione che si è creata attorno al caso. L’aula del tribunale ieri era zeppa di giornalisti, mentre fuori dalla Corte gruppi di manifestanti innalzavano cartelli, scandivano slogan in favore di Charlie e intonavano preghiere. «Ma io dovrò decidere non sulla base dei tweet – ha puntualizzato il giudice Francis – non sulla base di cosa potrebbe essere detto sui giornali o ai giornali». «Sono grata al Vaticano per quanto ha fatto per noi», ha ripetuto la madre del bambino uscendo dall’aula, prima che il marito la afferrasse per mano e la trascinasse via, infilandosi in un ascensore. Il sostegno del Papa e di Trump «hanno finora salvato la vita» di loro figlio, aveva detto poco prima. «Viviamo sul filo del rasoio ma andiamo avanti – aveva concluso – I genitori sanno quando i loro bambini sono pronti ad andarsene e Charlie sta ancora combattendo». (Corriere della Sera)