Il figlio del campione Luchinelli muore travolto in moto da un fuoristrada. Era istruttore di guida
«Una tragedia, una perdita enorme. Mi scusi ma non riesco a dire altro. Sono sconvolto, povero Marco». A Giacomo Agostini trema la voce. Rivali in pista per un breve periodo, oggi coppia fissa in tv per commentare le domeniche di Valentino Rossi. «Speravo fosse una delle tante bufale che circolano su Internet». Ma non lo […]
«Una tragedia, una perdita enorme. Mi scusi ma non riesco a dire altro. Sono sconvolto, povero Marco». A Giacomo Agostini trema la voce. Rivali in pista per un breve periodo, oggi coppia fissa in tv per commentare le domeniche di Valentino Rossi. «Speravo fosse una delle tante bufale che circolano su Internet». Ma non lo era. Cristiano Lucchinelli se n’è andato martedì sera. Figlio di un campione del mondo insegnava ai ragazzi a guidare in modo sicuro, la strada l’ha ucciso. È stato fatale l’impatto con un fuoristrada che procedeva nella corsia opposta e lo ha fatto volare contro un muretto, l’incidente è avvenuto a Castel Guelfo, alle porte di Bologna. Ci sarà un’indagine, saranno accertate le responsabilità, l’autista della macchina è stato denunciato per omicidio stradale. Cristiano avrebbe compiuto 37 anni fra poco. Aveva provato a correre inseguendo il mito in famiglia, ma con quel cognome la pressione era troppa. Aveva smarrito la bussola, conosciuto il carcere replicando antichi errori in un brutta storia di droga. Ma era riuscito a rialzarsi sostenuto dall’amore del genitore e dalla passione per la moto. «Lucky» c’era scritto sul casco del papà, quello con la stella che calzava al rovescio perché lui era sempre controcorrente, ma la buona sorte non lo ha accompagnato. Di accelerazioni e cadute è costellata la vita di Marco Lucchinelli: nel 1981 sulla Suzuki bianca e blu 500 cc riaccende le luci dell’Italmoto prendendosi un Mondiale fra sportellate e guizzi di classe cristallina. Dura, durissima per lui la vita in pista, erano i tempi dei «mostri» americani, di Barry Sheene e Freddie Spencer. «Lucky», sigaretta sempre accesa, orecchino e capelli lunghi sembrò una meteora arrivata da chissà quale galassia. Popolare e amatissimo – un mese fa la Dorna, l’organizzatrice del Motomondiale, lo ha inserito fra i grandi del motociclismo, nella «Hall of fame» – l’anno successivo al titolo salì sul palco di Sanremo con un suo brano, «Stella fortuna». «Sono il musicista più veloce del mondo o il pilota più intonato» disse una volta. Allegria smisurata, sensibilità straordinaria, anima inquieta fin da ragazzino quando fuggiva dal cantiere di famiglia per cavalcare qualunque cosa avesse un motore. Non c’erano piste a La Spezia, così la «palestra» diventa la strada per le Cinque Terre da imboccare a gas spalancato su un «vespino» truccato. «Cavallo pazzo» l’avevano ribattezzato per quello stile di guida fatto di azzardi e adrenalina. Nella perenne ricerca del limite a Lucchinelli è capitato di spingersi oltre: l’arresto per cocaina, una vicenda che non hai mai nascosto, anche quando in tanti nell’ambiente lo evitavano: «Il carcere mi è servito, se ci fossi andato prima mi sarei liberato subito di quel maledetto vizio» raccontò. Senza sapere che la curva più brutta sarebbe arrivata dopo. Forza «Lucky». (Corriere della Sera)