La chat dei campioni del 1982. Tutti su WhatsApp: ricordi, sfottò, aneddoti

11 luglio 2017 | 17:54
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La chat dei campioni del 1982. Tutti su WhatsApp: ricordi, sfottò, aneddoti

Si scambiano ancora il buongiorno tutte le mattine, come 35 anni fa, come quando stavano in ritiro a Vigo, Mondiali di Spagna 1982. Oggi come allora, il primo è Alessandro Altobelli, che è già in piedi alle quattro, l’ultimo è Marco Tardelli che è un tiratardi. Ieri erano pacche sulle spalle e sorrisi, oggi sono […]

Si scambiano ancora il buongiorno tutte le mattine, come 35 anni fa, come quando stavano in ritiro a Vigo, Mondiali di Spagna 1982. Oggi come allora, il primo è Alessandro Altobelli, che è già in piedi alle quattro, l’ultimo è Marco Tardelli che è un tiratardi. Ieri erano pacche sulle spalle e sorrisi, oggi sono cuoricini e faccine via WhatsApp. I ragazzi dell’82, i campioni di quell’11 luglio, ormai sessantenni o giù di lì, erano e sono una squadra. Sono Dino Zoff che solleva la coppa del mondo, sono tutti come un sol uomo che alzano in braccio Enzo Bearzot al Bernabeu. Da un paio di mesi, hanno una chat, si scambiano decine di messaggi. L’ha aperta Altobelli, di ritorno da Doha dov’è stato commentatore sportivo per Al Jazeera. Molti già non si erano persi di vista. Antonio Cabrini afferma: «Per noi, anche se non vedi uno per anni, lo reincontri ed è come se l’avessi appena lasciato. Leggi nei suoi occhi una gioia che solo noi possiamo capire». Tutta la squadra ha appuntamento a settembre nell’agriturismo di Pablito vicino ad Arezzo. E c’è da vedersi anche nel resort di Franco Selvaggi, in Basilicata. «Però devi pagare tu», gli scrivono. E lui: «Ma no, lasciamo perdere, siamo troppi». Selvaggi, detto Spadino per la somiglianza col nipote di Fonzie in Happy Days, non giocò una partita, ma era ed è quello che fa spogliatoio. I soprannomi di oggi sono gli stessi di allora, abbreviazioni veloci da campo. Per cui: Cabrini è Cabro, non il bell’Antonio, come titolavano i rotocalchi rosa; Collovati è Fuffo, da Fulvio; Marini è Malik, come un cartone che sembrava lui sputato; Tardelli è Schizzo, perché gli davano dello schizzato; Claudio Gentile è Ghento e nessuno sa più perché; e com’è noto Altobelli è Spillo, Giuseppe Bergomi è Zio, Pietro Vierchowod è il russo… Rossi resta Paolo perché ha il nome corto e, ai tempi, non era ancora Pablito. Erano partiti non amati, con insulti a Bearzot tipo «scimpanzé, direttore di un lebbrosario». La stampa ce l’aveva con lui perché aveva convocato Paolo Rossi, fermo da due anni. Nella prima fase, Rossi gioca male, ma Bearzot crede in lui e ci credono perciò i suoi ragazzi. «Per farlo reagire, lo sfottevamo: “Ma guardati, sei un morto, giochiamo col fantasma”», ricorda ora Collovati. La loro era, dal primo giorno, una squadra senza paura. In pullman, cantavano e ballavano all’unisono una canzone sola, Cuccurucucù di Franco Battiato. E tuttavia inanellano tre pareggi stentati, entrano in silenzio stampa. Poi, la svolta, la magia. Contro l’Argentina di Maradona, segnano Tardelli e Cabrini. Contro il Brasile di Zico, Rossi fa la tripletta. «Pablito è risorto!», scherzano ora i compagni, sotto un fotomontaggio che lo raffigura con Gesù. E siamo alla finale, a Italia-Germania, all’«urlo» di Tardelli, l’immagine che spazza via mesi di polemiche. È il secondo di tre gol, fra il primo di Rossi e il terzo di Altobelli, quando sulla tribuna d’onore il presidente Sandro Pertini balza in piedi fra re Juan Carlos e il cancelliere Helmut Schmidt e saltella, facendo no col dito: «No no, non ci prendono più». Bruno Conti, sotto la foto di Pertini, ha scritto: «Era un grande». Era l’uomo che se li era caricati sull’aereo di Stato con la coppa e in volo aveva giocato a scopone con Bearzot, Causio e Zoff. «La sua umiltà era tale che i fotografi non riuscirono a fargli sollevare la coppa», ricorda Paolo Rossi. C’è da amare quei mondiali anche per le foto che solo i ragazzi dell’82 conservano nel cuore. Come quella di Bearzot che esce dal Bernabeu con la faccia triste. Collovati gli fa: «Mister, abbiamo vinto, che ha?». E lui, la pipa in mano: «I festeggiamenti mi fanno piacere, ma mi fanno più male le critiche ricevute prima». E quella notte l’Italia che esulta nelle strade è un’Italia che ritrova l’orgoglio nazionale dopo essersi sentita sconfitta in partenza per altri motivi che erano la P2, le stragi… Come ha scritto Walter Veltroni, «avevamo tutti bisogno, dopo gli anni di piombo, di una stupida felicità, di qualcosa per cui ridere e abbracciarci». Bearzot diventa un monumento nazionale. Ai suoi funerali, nel 2010, c’erano tutti i suoi ragazzi. Come a quelli di Gaetano Scirea, scomparso in un incidente d’auto nell’89. «Per me era l’angelo che mi guardava le spalle in campo», ricorda Collovati, «è ancora lì, che ci protegge tutti». Sulla chat lo scambio è continuo. Gentile posta un selfie in bici e parte il palleggio sugli acciacchi dell’età. Altobelli dice a Selvaggi che gli serve la badante, Zio Bergomi senza baffi si consacra più giovane oggi di allora. È ancora gara fra Tardelli e Cabro su chi piaceva di più alle donne: «Tu piacevi alle bambine, io alle mamme», scrive Schizzo al Bell’Antonio. Poi, quando Cabrini convoca la Nazionale femminile per gli Europei del 16 luglio, Altobelli, che sta a Brescia, commenta: «Ha preso nove bresciane, qui non si trova più una donna». Gentile posta la foto di lui che marca Zico e gli altri: «Ti sei tenuto un pezzo di maglia!». Le partite di oggi non le commentano. «È un calcio, si parla solo di soldi, non di valori», sintetizza Rossi. Che, in chat, butta lì: «Siamo ancora così uniti che i politici dovrebbero prendere esempio da noi». È un coro di «Paolo for president». Cuccurucucù Paloma. (Corriere della Sera)