La Cina censura Winnie the Pooh, “prende in giro il presidente Xi Jinping”
Due sparizioni eccellenti fanno capire che i preparativi per il 19° Congresso del partito comunista cinese sono arrivati al culmine della tensione. La prima è quella di Sun Zhengcai, il più giovane membro del Politburo, rimosso dal suo ruolo di capo del Pc a Chongqing e forse messo sotto inchiesta. La seconda è quella di […]
Due sparizioni eccellenti fanno capire che i preparativi per il 19° Congresso del partito comunista cinese sono arrivati al culmine della tensione. La prima è quella di Sun Zhengcai, il più giovane membro del Politburo, rimosso dal suo ruolo di capo del Pc a Chongqing e forse messo sotto inchiesta. La seconda è quella di Winnie the Pooh, orsetto transitato dai romanzi per bambini ai cartoni animati di Disney. L’accostamento può sembrare assurdo, ma a ben guardare non lo è. Anche un personaggio di carta in questa Cina può diventare «politicamente sensibile». Parlare di Winnie the Pooh è improvvisamente diventato impossibile sui social network cinesi, in particolare Weibo che è l’equivalente di Twitter, e WeChat, piattaforma di messaggi con oltre 800 milioni di iscritti. Nessuna controindicazione se si prova a digitare «Weini xiao xiong», che significa in mandarino «Winnie il piccolo orso», ma appena si cerca di aggiungere un commento compare la scritta: «Questo contenuto è illegale». Che cosa ha fatto mai per finire nella trappola della censura di Pechino l’orsetto giallo, un po’ tardo ma capace di avere l’intuizione giusta? Ufficialmente nessuno lo dice, perché la censura funziona così. Bisogna affidarsi alle voci e alle interpretazioni. Così, secondo la ricostruzione del Financial Times, qualcuno nel Partito si è ricordato che nel 2013, quando Xi Jinping aveva fatto visita a Barack Obama e i due si erano offerti ai fotografi durante una passeggiata in giardino, la loro immagine era stata affiancata sui social network a quella di Winnie, grassoccio e giulivo, e dell’amico Tigro, longilineo come Obama. In effetti la somiglianza c’è e il giochino su Xi-Winnie era diventato virale. Senza però essere oscurato. Fino all’altro giorno. Oltretutto, nell’ottobre del 2103 era stato lanciato online un cartone animato made in China intitolato «Come si forgia un leader». Metteva a confronto il sistema di selezione del presidente americano, del primo ministro britannico e del segretario generale del partito comunista, nonché presidente cinese. Protagonista una versione caricaturizzata di Xi Jinping, che spiegava alle masse come per diventare presidente a Pechino si parte dal basso per arrivare in alto ed emergere tra oltre sette milioni di funzionari, in media ci vogliono 23 anni di duro impegno «servendo il popolo», si cambia incarico per 16 volte. Quel video era stato prodotto con ogni probabilità dalla propaganda, che allora giocava a umanizzare il leader. Ma i tempi sono cambiati (e non in meglio): accostare Xi Jinping a un orso sovrappeso oggi diventa «contenuto illegale». Perché nel frattempo il segretario generale comunista si è fatto nominare «lingdao hexin», che significa più o meno «nucleo centrale e cuore della leadership» del Partito. Un titolo che era stato solo di Mao Zedong e di Deng Xiaoping. Un titolo che non si può esporre a giochi di parole o satira. Soprattutto alla vigilia del Congresso quinquennale del partito che in autunno dovrà disegnare il nuovo Comitato centrale, il Politburo e il Comitato permanente del Politburo. Si tratta (dovrebbe trattarsi) di un ricambio generazionale dal quale dovrebbe uscire il nome del successore di Xi, nel 2022. Ma molti segnali negli ultimi mesi hanno fatto immaginare che Xi stia lavorando per restare segretario generale anche dopo il 2022, quando finirà il suo secondo mandato quinquennale. Come? Eliminando avversari e potenziali successori. E qui si torna al caso oscuro di Sun Zhengcai, 53 anni, capo del Partito a Chongqing, megalopoli da 33 milioni di abitanti, quindi di grande peso. Sun avrebbe l’età giusta per essere promosso dal Politburo al Comitato permanente, ma sabato è stato sostituito e alla cerimonia di avvicendamento (al suo posto è stato insediato un fedelissimo di Xi), non si è visto: diverse fonti sostengono che è sotto inchiesta. La possibile eliminazione politica di Sun ricorda quella di Bo Xilai nel 2012, alla vigilia del 18° Congresso del partito che incoronò Xi. Anche Bo era il capo di Chongqing. (Corriere della Sera)