L’affare profughi. Portarli in Italia frutta 400 milioni l’anno

19 luglio 2017 | 21:32
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L’affare profughi. Portarli in Italia frutta 400 milioni l’anno

All’inizio della Grande depressione, Al Capone incassava circa 60 milioni di dollari l’anno dalla produzione e vendita clandestina di alcolici. È l’equivalente di 800 milioni attuali e per ogni cent il boss sapeva esattamente chi ringraziare: i membri del Congresso che nel 1919 avevano votato il diciottesimo emendamento, quello che vietava di distillare e distribuire […]

All’inizio della Grande depressione, Al Capone incassava circa 60 milioni di dollari l’anno dalla produzione e vendita clandestina di alcolici. È l’equivalente di 800 milioni attuali e per ogni cent il boss sapeva esattamente chi ringraziare: i membri del Congresso che nel 1919 avevano votato il diciottesimo emendamento, quello che vietava di distillare e distribuire alcol in America e apriva così l’era del proibizionismo. La mafia aveva ricevuto un monopolio in dono. È inutile cercare un Al Capone nel grande traffico clandestino di questi anni, quello di persone dirette in Italia. Non esiste quel boss, perché fra l’Africa e il mare se ne trovano a centinaia. Tutti più piccoli del capo mafia di Chicago, ma altrettanto feroci. Una stima fissa in almeno 400 milioni di dollari i ricavi da contrabbando e estorsione legati al flusso di migranti e rifugiati fino al punto di sbarco dalla Libia. Si tratta di un calcolo provvisorio e per difetto, perché non tiene conto delle tangenti ai posti di blocco e del lavoro forzato a cui decine di migliaia di persone sono soggette durante il viaggio. Quella cifra però pone una domanda ai partiti in Italia e ai governi in Europa: qual è il diciottesimo emendamento in questa tragedia? Deve esistere da qualche parte un proibizionismo che alimenta le mafie attraverso il deserto e il mare, impone sofferenze ai migranti e costi evitabili ai Paesi che li ricevono. L’assenza di canali d’accesso legali e sorvegliati per chi vuole cercare lavoro in Europa ha prodotto un’industria criminale da (almeno) 400 milioni l’anno. Anziché proteggere l’Italia, quel divieto alimenta gli sbarchi e accresce la pressione sulle coste. La stima si basa su ciò che si conosce dei costi di viaggio e del fenomeno, feroce e diffuso, dei sequestri lungo la strada. Un quadro delle spese per arrivare a imbarcarsi emerge per esempio dalle interviste condotte nei mesi scorsi da Medici per i diritti umani (Medu). Quest’ultima è un’agenzia indipendente sostenuta dall’Ue e dalla Open Society Foundation, che ha chiesto a mille rifugiati quanto avessero versato ai trafficanti. Le cifre variano ma il costo medio dall’Africa occidentale è attorno a 825 dollari dall’origine fino al barcone; dall’Africa orientale, è più caro: in media 3.750 dollari. Le due rotte non hanno la stessa intensità. La via orientale è quella di chi viene da Eritrea, Somalia, Sudan o persino dal Bangladesh, nel complesso poco meno del 25% delle persone sbarcate in Italia nel 2016. Su circa 200.000 rifugiati quest’anno, il prelievo imposto su di loro dai trafficanti per il trasporto può avvicinarsi a 190 milioni di dollari. A questi si aggiungono circa 125 milioni estorti per le rotte dall’Africa occidentale. Da Paesi come Mali, Senegal, Gambia, Costa d’Avorio o Nigeria arriveranno con tutta probabilità quest’anno almeno 150.000 persone, in base alle cifre del primo semestre 2017. Per loro i costi sono inferiori, ma su numeri più alti. In totale l’estorsione sui percorsi fino all’imbarco frutta almeno 315 milioni di dollari. Ovviamente, senza contare il costo della «protezione» da versare a più riprese alle bande armate locali lungo la strada. Scrive Mark Micallef, autore di un rapporto per la «Global Initiative against Transnational Organized Crime»: «Migranti e rifugiati sono semplicemente divenuti una materia prima da sfruttare per i gruppi armati che esercitano il controllo di fatto sul territorio libico». Un aspetto raccapricciante nell’industrializzazione dei traffici riguarda i sequestri in viaggio. Molte migliaia di persone sono già state catturate in questi anni e torturate fino a quando i familiari nel Paese d’origine non hanno pagato. Risulta da una recente indagine fra 2.700 rifugiati da parte dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni, un’agenzia Onu, che il 52% degli uomini e il 33% delle donne erano stati catturati lungo la rotta in Africa. Spesso si chiede alle persone di telefonare a casa mentre vengono tormentate con cavi elettrici, per far sentire le urla ai familiari ed estorcere un riscatto. Secondo il rapporto di Micallef, per il rilascio i sequestratori chiedono fra tremila e cinquemila dollari. In base ai numeri noti, potrebbero dunque passare di mano in questo modo altri 80 milioni l’anno. Siamo così a 400 milioni e ovviamente non è finita. Un riflesso delle sevizie subite nel viaggio emerge nel numero crescente di persone che in Italia ottengono per questo motivo il permesso per «protezione umanitaria» (diversa dal diritto d’asilo): sono stati quasi ventimila nel 2016, di cui almeno la metà proprio a causa dei traumi subiti lungo la strada. È dunque probabile che sia loro che anche il 60% dei richiedenti asilo ai quali viene negata qualunque tutela – sono migranti economici – non affronterebbero mai la rotta libica se esistessero canali d’accesso regolamentati. Magari con visti a tempo (e pagati) per cercare lavoro, vincolati ad accordi di rimpatrio con il Paese d’origine e possibilità di riconoscimento biometrico della persona. L’Italia allora vedrebbe crollare gli sbarchi. Dopotutto anche Franklin Delano Roosevelt, nel 1933, festeggiò la fine del proibizionismo con un Martini corretto al Gin. (Corriere della Sera)