Napoli. Le giovani leve della criminalità mafiosa, e in particolare quelle della camorra, puntano alla conquista dei vertici delle rispettive organizzazioni. È questa una delle tendenze che emergono dalla relazione semestrale della Dia, la Direzione investigativa antimafia, riferita al secondo semestre del 2016. «Tra le tendenze comuni a cosa nostra, alla camorra, alla criminalità organizzata […]
Napoli. Le giovani leve della criminalità mafiosa, e in particolare quelle della camorra, puntano alla conquista dei vertici delle rispettive organizzazioni. È questa una delle tendenze che emergono dalla relazione semestrale della Dia, la Direzione investigativa antimafia, riferita al secondo semestre del 2016. «Tra le tendenze comuni a cosa nostra, alla camorra, alla criminalità organizzata pugliese e, in parte, anche alla ‘ndrangheta – si legge infatti nel documento – non può non rilevarsi la spinta in atto, da parte di giovanissime nuove leve, ad affiancarsi, se non addirittura a sostituirsi, alla generazione criminale precedente». A Napoli e provincia la presenza di un numero elevato di gruppi, privi di un vertice in grado di imporre strategie di lungo periodo, continua a determinare la transitorietà degli equilibri. Precarietà ed inconsistenza rappresentano, infatti, le caratteristiche dei gruppi emergenti, nonostante tra le loro fila militino soggetti provenienti da storici sodalizi, quali i Giuliano e i Mazzarella. Si conferma, inoltre, l’abbassamento dell’età degli affiliati e dei capi, con la trasformazione dei clan in «gang», più pericolose per la sicurezza pubblica rispetto a quanto accadeva in passato, quando ogni gruppo era in grado di «mantenere l’ordine» sul proprio territorio. Molteplici sono le cause che hanno contribuito alla destabilizzazione di talune organizzazioni: le scissioni interne, l’incapacità di dotarsi di un apparato militare efficace e l’impossibilità di garantire mensilmente stipendi ad affiliati e famiglie dei detenuti. Sul piano organizzativo, al posto delle passate strutture criminali vanno quindi affermandosi nuove compagini che agiscono con particolare violenza e sfrontatezza, spinte da un’esasperata mania di protagonismo, espressa anche attraverso scorribande armate ed esplosioni di colpi di arma da fuoco (le «stese»). Ci si trova spesso di fronte a tanti piccoli «eserciti» senza una vera e propria «identità criminale», che utilizzano la violenza come strumento di affermazione ed assoggettamento, ma anche di sfida verso gli avversari. (Corriere del Mezzogiorno)