Paestum. Fino al 18 al Museo in mostra la statua restaurata di S. Giuseppe
Sembra che il destino di molte sculture di Giacomo Colombo, e non solo, presenti nel salernitano abbiano avuto la disgrazia di essere sfregiate da mani sacrileghe di ignoti ladri che hanno trafugato, staccandole, piccole statue di angeli e di Gesù Bambino. Si tratta di statue manomesse per l’ingordigia di un sottomercato delle opere d’arte, clandestino, […]
Sembra che il destino di molte sculture di Giacomo Colombo, e non solo, presenti nel salernitano abbiano avuto la disgrazia di essere sfregiate da mani sacrileghe di ignoti ladri che hanno trafugato, staccandole, piccole statue di angeli e di Gesù Bambino. Si tratta di statue manomesse per l’ingordigia di un sottomercato delle opere d’arte, clandestino, fatto da ladri, ricettatori e antiquari di pochi scrupoli che non esitano a rubare opere d’arte, o pezzi di opere, che collezionisti disonesti richiedono per la propria insana brama di arte. Spesso, purtroppo, questi “pezzi di statue” antiche finiscono nelle mani delle mafie e della camorra e purtroppo vengono utilizzati anche per alimentare i mercati clandestini, paralleli, della droga e anche delle armi. Si tratta in questo caso di merce di scambio, preziosa perché spesso di alto valore storico-artistico. Così nel 1984 i due angeli che reggevano gli strumenti del martirio di Cristo, il flagello e la canna con la spugna imbevuta d’aceto e la lancia che Longino confisse nel costato di Gesù, furono trafugati dalla chiesa di S. Maria della Pietà in Eboli e il gruppo scultoreo colombiano della “Pietà” fu ignobilmente sfregiato, anche se poi le opere trafugate furono riprodotte da intagliatori della Val Gardena, grazie a un certosino lavoro filologico di ricostruzione grafica, con progetto elaborato dal professor Cosimo Bentivenga. Fu così ricostituita almeno l’unità iconografica dell’opera, ma con falsi e non più con gli originali, che purtroppo non sono stati ancora ritrovati. Lo stesso destino è riferibile al trafugamento della statua di Gesù Bambino sostenuto nella statua di “S. Felice da Cantalice”, anch’esso del Colombo, proveniente da Eboli e conservato attualmente nel Convento dei Frati Francescani Cappuccini di Cava. E sempre il piccolo Gesù Bambino è stato vittima dei ladri nella statua di “S. Giuseppe”, attribuita all’ambito dello scultore Gaetano Patalano. L’opera risale all’inizio del Settecento, è stata studiata e pubblicata dalla storica dell’arte Rosa Carafa. La bella opera, a figura intera e a tutto tondo, si conserva nella chiesa di S. Maria Maggiore a Sant’Angelo a Fasanella. Ora è in mostra, e lo sarà fino al 18 luglio, nel Museo Archeologico Nazionale di Paestum nell’ambito dell’evento culturale “Ritorno al Cilento. Anteprima della mostra”. L’opera è menzionata nell’inventario napoleonico del 1811 relativo alle opere d’arte presenti nella chiesa parrocchiale di S. Maria Maggiore, al punto n.12 vi si legge: «E finalmente vi è l’altare di S. Giuseppe, statua di legno col Bambino in braccio, idem e di ordinaria fattura». L’opera di Sant’Angelo a Fasanella è stata sottoposta a restauro, diretto dalla stessa Carafa, e ha messo in evidenza che il panneggio sostenuto dalla mano sinistra del Santo è un rifacimento, o un’aggiunta, «probabilmente realizzato nell’Ottocento per adeguare la scultura ad un nuovo Bambinello», come ci informa la studiosa. Purtroppo anche di questo secondo Bambinello non v’è traccia! Il Santo è raffigurato con la mano sinistra in atto di sostenere un bastone. Preziosa è l’ornamentazione pittorica delle stoffe, specie quello del panneggio del manto, color ocra, e della tunica con fondo verde scuro. L’artista ha impreziosito la veste con motivi floreali, realizzati con inserti di foglia d’argento meccato. La statua si presenta con tutte le caratteristiche di un evidente naturalismo “veristico” e la rendono vicina ai modelli utilizzati per le figure presepiali proprie della tradizione napoletana, un aspetto da non trascurare nella statuaria in legno policromo del XVIII secolo, con un gusto e una sensibilità legati al sentimento religioso popolare, ma non solo, verso il padre putativo di Cristo, in linea con le direttive suggerite dai sinodi diocesani in seguito alla rappresentazione delle immagini religiose secondo la dottrina post-tridentina. L’opera si presenta con una posa classicheggiante, senza svolazzi dell’elegante manto color ocra. (La Città)