Pane e vino «doc» per l’Eucaristia. Le linee guida del Papa contro gli abusi

10 luglio 2017 | 17:52
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Pane e vino «doc» per l’Eucaristia. Le linee guida del Papa contro gli abusi

«Se Cristo si fosse incarnato in Giappone avrebbe consacrato riso e sakè», scriveva Umberto Eco a Carlo Maria Martini. E il cardinale replicava che no, «la teologia non è scienza dei possibili» e quindi «non può che partire dai dati positivi e storici della Rivelazione e cercare di capirli». Ecco, per capire l’intervento della Santa […]

«Se Cristo si fosse incarnato in Giappone avrebbe consacrato riso e sakè», scriveva Umberto Eco a Carlo Maria Martini. E il cardinale replicava che no, «la teologia non è scienza dei possibili» e quindi «non può che partire dai dati positivi e storici della Rivelazione e cercare di capirli». Ecco, per capire l’intervento della Santa Sede in tema di Eucaristia si può partire da questo passaggio del celebre scambio epistolare riunito vent’anni fa nel libro In cosa crede chi non crede? Per la Chiesa non è un accidente della storia che Gesù fosse ebreo e abbia celebrato l’Ultima cena a Gerusalemme: con pane azzimo e vino. Se il cardinale Robert Sarah e la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti hanno sentito il bisogno di riaffermarlo «per incarico del Santo Padre Francesco» e invitato i vescovi a vigilare sulla provenienza e la qualità del pane e del vino – fino a suggerire «appositi certificati» che ne garantiscano l’origine come una sorta di «doc» – non è perché a qualche prete sia venuto in mente sul serio di celebrare con il sakè. Però è capitato con la birra, spiega monsignor Claudio Magnoli, studioso di liturgia e consultore del dicastero: «In alcuni casi c’è stata una sorta di teologia dell’adattamento. Così è successo che in Olanda qualcuno dicesse: in fondo la nostra bevanda è la birra… Oppure che in aree del mondo dove non si coltiva il frumento si usasse la manioca, il riso, altri cereali…». E poi c’è il problema del calo delle vocazioni. Per anni a preparare vino e ostie ci hanno pensato i religiosi, specie le suore. Oggi un prete li può trovare «anche nei supermercati, in altri negozi e tramite internet», scrive la Congregazione. Di qui la necessità di vigilare. Gli abusi non mancano. Così vengono riaffermate le regole già elencate nell’istruzione Redemptionis Sacramentum del 2004. Il pane della comunione «deve essere azzimo, esclusivamente di frumento e preparato di recente». È «un grave abuso» aggiungere altre sostanze «come frutta, zucchero o miele», quasi fosse un dolcetto. Inoltre, «le ostie completamente prive di glutine sono materia invalida per l’Eucaristia». Niente «gluten free», insomma, al massimo si può concedere una quantità di glutine minima, purché «sufficiente per ottenere la panificazione». Può bastare per i fedeli celiaci? «Di norma un’ostia a basso contenuto di glutine non crea problemi. Se però c’è una celiachia grave, il fedele può fare la comunione solo con il vino», spiega monsignor Magnoli. Lo prevede il Diritto Canonico (925) ed è lo stesso Codice (924, paragrafo 3) a dire che «il vino deve essere naturale, del frutto della vite e non alterato». Chi ha problemi con l’alcol, aggiunge la Congregazione, può bere «il mosto», cioè il succo d’uva non fermentato. L’essenziale, come per il pane, è che vino o mosto siano genuini. Per questo si chiede ai vescovi di «informare e richiamare al rispetto assoluto delle norme» i produttori. Almeno in Italia, molte cantine si sono organizzate da tempo: il vino da messa è in vendita (in genere sotto i dieci euro a bottiglia) con la dicitura canonica «ex genimine vitis», dal frutto della vite. Bianco o rosso, non importa. Si tratta di vini liquorosi perché durano di più. Come dice la Congregazione: «Sia conservato in perfetto stato e non diventi aceto». (Corriere della Sera)