Popolarità di Macron in picchiata. Lo scontento per il piglio autoritario

24 luglio 2017 | 16:59
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Popolarità di Macron in picchiata. Lo scontento per il piglio autoritario

Può essere inevitabile come sostiene, dolente e filosofico, l’ex presidente François Hollande, ma certamente è molto rapida, nel caso dell’erede Emmanuel Macron, la fine della luna di miele con i francesi: la formidabile cotta degli elettori per il nuovo capo di Stato, così giovane con i suoi 39 anni, così dinamico, così teatrale, sembra già […]

Può essere inevitabile come sostiene, dolente e filosofico, l’ex presidente François Hollande, ma certamente è molto rapida, nel caso dell’erede Emmanuel Macron, la fine della luna di miele con i francesi: la formidabile cotta degli elettori per il nuovo capo di Stato, così giovane con i suoi 39 anni, così dinamico, così teatrale, sembra già destinata a stemperarsi nella delusione percepita dall’ultimo sondaggio sulla sua popolarità, con un’emorragia di 10 punti percentuali in appena un mese. Dal 64% di consensi, quasi un tripudio, raccolti a giugno, un mese dopo il suo insediamento, al 54% calcolato ieri dall’Ifop (Institut français d’opinion publique) per il settimanale Le Journal du Dimanche. Non è un tracollo, se paragonato alla peggior performance della storia della quinta Repubblica, ancora in testa a Jacques Chirac che, nello stesso lasso di tempo, perse 20 punti (dal 59 al 39%), ma è un’avvisaglia di tempesta per il nuovo comandante e per il suo timoniere (il primo ministro Edouard Philippe), che si apprestano ad affrontare gli scogli della riforma del Codice del lavoro, mentre un indebolito ma pugnace Jean Luc Mélenchon, leader di France Insoumise, promette di scatenargli contro le piazze prima della fine dell’estate. L’uomo della provvidenza, per sua stessa, modesta ammissione inviato direttamente da Giove, e chiamato a salvare la Francia dalle grinfie di Marine Le Pen e del Fronte Nazionale alle recenti presidenziali, ha forse preso troppo sul serio il miraggio della propria infallibilità, dimenticando che, senza le sventure giudiziarie del suo più maturo antagonista di centro destra, l’ex premier François Fillon, probabilmente il risultato elettorale sarebbe stato diverso per lui e per la formazione di En Marche!. Vero, le legislative gli hanno portato, poche settimane dopo, un’onnipotente maggioranza parlamentare, ma il fattore simpatia è sfumato piano piano con le dimostrazioni di forza culminate nell’esautorazione del generale sessantenne Pierre de Villiers. Umiliato pubblicamente, il pluridecorato capo delle Forze armate ha preferito dimettersi dopo aver osato interloquire sui tagli di 850 milioni al budget destinato alla Difesa. Dall’autorità, che dopo un «presidente normale», come Hollande, la Francia potesse averne voglia di uno speciale: un all’autoritarismo: il breve passo non è sfuggito alla stampa, che pure aveva simpatizzato, inizialmente, con il piglio napoleonico dell’ex ispettore delle Finanze, proiettato da una miracolosa congiuntura all’Eliseo. Macron aveva intuito, sagacementesemidio senza aloni di sudore sulla camicia bianca mentre dà dimostrazioni di abilità sportiva, con i guantoni da boxe o con una racchetta da tennis sull’assolato ponte Alexandre III di Parigi, per sostenere la candidatura francese all’Olimpiade del 2024. O con una tuta da pilota militare sulla base di Istres, mentre tenta di riconciliarsi con i «commilitoni». Ma se la prestanza non basta ad alimentare a lungo un idillio, è evidente che i francesi aspettano Macron al varco. Forse li ha sconcertati l’affettuosa accoglienza riservata al presidente americano Donald Trump, per la Festa nazionale del 14 luglio, sebbene sia stata interpretata dagli opinionisti come un’abile mossa per sventare un’asse tra la Casa Bianca e il Cremlino. Più probabile la perplessità nazionale sugli impegni rinviati, come la riduzione delle tasse, o sull’intenzione di abbassare invece gli aiuti per l’alloggio ai meno abbienti. Oppure, a rompere l’incanto, può essere stata l’infelice uscita del neopresidente, all’inaugurazione di un campus di startup, quando ha distinto fra «gente che riesce nella vita e gente che non è niente». Ma che forse l’aveva votato. (Corriere della Sera)