Veleni sul Vesuvio, rifiuti speciali sepolti nelle pinete. Nei roghi sprigionate sostanze pericolose
Quando si passeggia tra le pinete distrutte dalle fiamme, la terra sotto ai piedi è grigia, soffice e si sprofonda per alcuni centimetri ad ogni passo. Il silenzio è assoluto. Nonostante lo scempio, il Vesuvio sembra essere benevolo con chi lo ha deturpato negli anni. Attorno alle discariche di materiali di ogni forma, dimensione e […]
Quando si passeggia tra le pinete distrutte dalle fiamme, la terra sotto ai piedi è grigia, soffice e si sprofonda per alcuni centimetri ad ogni passo. Il silenzio è assoluto. Nonostante lo scempio, il Vesuvio sembra essere benevolo con chi lo ha deturpato negli anni. Attorno alle discariche di materiali di ogni forma, dimensione e natura, sono cresciute radici e gli aghi di pino hanno formato delle piccole colline per coprire il nero dei sacchetti. Basta però guardare con attenzione, proprio a dieci passi dalla linea di fuoco nei boschi tra Terzigno e Ottaviano per scoprire, semi-sommersi dalla natura, almeno dieci bidoni arrugginiti che hanno versato nella terra litri di liquidi nocivi. Poco più sopra, a dieci passi per l’appunto, ce ne sono altri di bidoni simili andati bruciati. Le altissime temperature hanno fuso i fusti sprigionando nell’aria quel c’era all’interno. Cosa contenessero è difficile scoprirlo, ma di sicuro non è difficile intuire che si trattava di liquidi che dovevano essere smaltiti diversamente, mentre invece erano lì chissà da quanto e sono finiti in cenere come migliaia di pini. E sarà impossibile calcolare i danni ambientali provocati dalle nubi tossiche che si sono sprigionate con le fiamme dolose appiccate in una settimana di terrore in più parti del parco nazionale e respirate dai cittadini dei paesi limitrofi. Le Procure di Napoli, Torre Annunziata e Nola che hanno aperto fascicoli che confluiranno in una maxi-inchiesta, analizzeranno i resti che sono ancora lungo le pendici della pineta data alla fiamme in un incendio che ha devastato il parco nazionale del Vesuvio. Si potrebbe arrivare a comprendere il movente di quelle fiamme, diventate tossiche e nere, indomabili per giorni nonostante il coraggio e l’impegno dei Vigili del Fuoco, della Protezione civile e dei volontari, appiccate volontariamente da mani criminali. Saranno analizzati anche i rifiuti che c’erano lungo le vie laterali di via Zabatta. Gli stessi di oggi e che palesano agli occhi di tutti quello che forse tutti già sapevano: il Vesuvio era diventata la discarica di moltissime aziende che operano nell’illegalità. Non ci sono solo scarti di lavorazioni tessili, provenienti con estrema probabilità dalle numerose fabbriche di abbigliamento gestite da cinesi nella cinta che da Ottaviano va fino a Boscotrecase, ma anche le piccole ditte che lavorano in zona e che conoscono alle perfezione le vie che portano verso le pinete buie e quindi vulnerabili. E così un patrimonio naturale diventa una discarica a cielo aperto. Ma attorno alla linea di fuoco non ci sono solo bidoni «sospetti», ma anche e soprattutto tantissime lastre di amianto sbriciolate, andate in fumo, consumate dagli agenti atmosferici. E intanto ieri i carabinieri, assieme alla Municipale, hanno scoperto e denunciato tre persone che ad Ercolano depositavano nel parco dieci sacchi neri con guaine impermeabilizzanti, mentre a Terzigno un 43enne di San Giovanni a Teduccio è stato scoperto proprio a scaricare materiale di risulta. (Corriere del Mezzogiorno)