Addio ad Altichieri. Tradito dalle montagne che amava sfidare. Fu inviato e corrispondente da Londra del «Corriere»
Due giorni prima di morire nel corso di una salita solitaria sul ghiacciaio della val di Fex in Engadina, Alessio Altichieri, durante un’altra escursione in quota, aveva a ogni passo ripetuto al suo accompagnatore, l’amico giornalista Riccardo Chiaberge: «Non guardare il panorama, guarda dove metti i piedi». Lui stesso, appassionato montanaro da una vita, giovedì […]
Due giorni prima di morire nel corso di una salita solitaria sul ghiacciaio della val di Fex in Engadina, Alessio Altichieri, durante un’altra escursione in quota, aveva a ogni passo ripetuto al suo accompagnatore, l’amico giornalista Riccardo Chiaberge: «Non guardare il panorama, guarda dove metti i piedi». Lui stesso, appassionato montanaro da una vita, giovedì deve aver momentaneamente ignorato la regola che rammentava agli altri ed è scivolato precipitando quand’era già ben oltre i tremila. Anche un’altra regola aveva trascurato: in montagna non si dovrebbe mai andare in solitaria; glielo rimproveravano i familiari, gli amici e i colleghi, ma pur di andare, se non trovava compagnia, Alessio si avventurava da solo. E le sue non erano passeggiatine e gitarelle, bensì marce impegnative che duravano ore. È stata la sua ultima salita. Probabilmente — suggerisce sua moglie Donata — aveva sottovalutato lunghezza e difficoltà del percorso. Nove ore deve aver camminato prima del passo falso, a giudicare dal luogo dove l’hanno ritrovato. Poi ci sono state soltanto le terribili telefonate a vuoto dei familiari, la condanna di non sentire risposta alle chiamate, l’angoscia della lenta ma inesorabile perdita di speranza. Infine la richiesta d’intervento al soccorso alpino. Dopo non è restato che cercare consolazione — ma davvero poca — nel pensiero che se n’è andato facendo quello che, dopo il giornalismo, più gli piaceva. Aveva 71 anni ed era uno di quei giornalisti come è raro che ne nascano ancora. Rigore e serietà erano i principali tratti del suo profilo professionale come anche del suo carattere, cui si aggiungeva, per la contentezza dei lettori, un’estrema eleganza e grazia della scrittura. La prima cosa che viene in mente a chi l’ha conosciuto è che Alessio era in tutti i sensi un signore, un gran signore, in un tempo, però, in cui la signorilità è dote assai poco richiesta. A volte addirittura una specie di zavorra che tira verso il basso. Un assaggio di questo suo stile lo si può trovare nel pezzo in cui annunciava, nel 2011, la chiusura, dopo quattro anni di attività, del suo blog “Chelsea-Mia”, iniziato quando era corrispondente da Londra per il Corriere della Sera. Un saluto ai lettori da chi, vedendo che fuori il sole sta tramontando, senza che nessuno lo abbia sollecitato, si alza dalla scrivania, raccoglie le sue carte, accosta per bene la sedia e lascia il posto a qualcun altro. Il tutto fatto con tranquilla, forse soltanto un poco melanconica determinazione. Farewell — addio — ha intitolato l’ultimo dei suoi oltre duecento interventi sul blog, giustificandone la chiusura con la paura che si trasformasse in un cimitero degli elefanti. Cimitero virtuale, cioè, di un giornalista che non ha più niente di nuovo né di davvero interessante da dire, che ha esaurito le sue riserve di pensiero originale come una botte ormai svuotata del suo buon vino. Solo che la botte la si può di nuovo riempire mentre un uomo non si può rigenerare. È cosa da grandi sapersi alzare da tavola come ha fatto lui ed è, come si sa, cosa assai rara. La sua era la modestia dei grandi signori, di chi rifiuta di attaccarsi alla sedia, autoincensarsi, considerarsi migliore di altri, speciale, di chi conosce e accetta i propri limiti. E non è un caso se un uomo così abbia amato salire in montagna dove soltanto la vera, grande fatica è premiata, dove non si può fingere né imbrogliare. Trent’anni Alessio Altichieri, figlio di grande famiglia veronese ma anche figlio d’arte in quanto già suo padre fu giornalista, li ha passati al Corriere dove ha iniziato come capocronista nel 1981 chiamato dal direttore Alberto Cavallari. È stato poi inviato speciale su quasi tutti i fronti caldi del mondo e, infine, corrispondente da Londra. E prima del Corriere ha lavorato per La Stampa, per Il Giorno e per Il Gazzettino di Venezia: un curriculum impeccabile, con il suo innato stile mai fuori tono, elegante, discreto. Sempre a Riccardo Chiaberge, suo compagno di molte marce, tempo fa nel corso di una conversazione tra «montanari» aveva detto con rammarico: «Morirò senza aver fatto il Bernina». Aveva visto giusto, purtroppo. (Corriere della Sera)