Addio one man show. Ieri a Londra Bolt ha salutato l’atletica. Spento e serio recita l’ultimo “lampo” nel Mondiale

14 agosto 2017 | 18:34
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Addio one man show. Ieri a Londra Bolt ha salutato l’atletica. Spento e serio recita l’ultimo “lampo” nel Mondiale

È tornato in pista per l’addio. Ma senza correre. Guarda lontano, un po’ perso, sembra un cane bastonato. Sparita la sua allegria, il suo sorriso. Bolt fa il giro d’onore, serissimo, applaude la folla. Non fa più il buffone, accarezza un bimbo, abbraccia i suoi genitori. Mettono il tempo dei suoi due record sul tabellone. […]

È tornato in pista per l’addio. Ma senza correre. Guarda lontano, un po’ perso, sembra un cane bastonato. Sparita la sua allegria, il suo sorriso. Bolt fa il giro d’onore, serissimo, applaude la folla. Non fa più il buffone, accarezza un bimbo, abbraccia i suoi genitori. Mettono il tempo dei suoi due record sul tabellone. Fa il suo gesto alla Bolt, ma non è più Bolt. È un re che non ce l’ha più fatta a difendere il suo regno. E questa malinconia c’è. È una cerimonia senza vita. Lascia da sconfitto. «Ma una corsa non cambia una carriera. Mi hanno detto che pure Muhammad Ali ha perso». Lo premiano con un pezzo di pista su cui ha vinto tanti ori. Non insistete per guardare i vecchi miti da vicino. Non tirate fuori i binocoli. Lo urlò qui in un teatro a Londra una matura Josephine Baker a uno spettatore: «Don’t do that, keep your illusion». Era meglio conservare l’illusione. Lo dice anche Bolt: «Non era il modo con cui avrei voluto dirvi addio. Ma ci hanno tenuto 40 minuti ad aspettare, una follia, mi sono raffreddato e la corsa è iniziata con 10 minuti di ritardo. Mi scuso, ma ho dato tutto». Si era permesso di suggerirlo anche Gatlin: «Era meglio se lasciava a Rio. Comunque è vero: il ritardo nella call-room lo ha penalizzato». Sì, era meglio di uno sprint interrotto da un crampo al quadricipite della gamba sinistra, a tutti è sembrato un guaio da ex. Quando sei poco allenato, quando vuoi fare lo splendido, ma non sei più padrone di niente. Con la testa fuori dalla pista. Inseguiva la leggenda, ma quella non si fa inseguire, o l’acchiappi e la tieni stretta, oppure ti ribalta. E Bolt, 31 anni, è finito gambe all’aria dopo 20 metri. Il vecchio e il crampo, appunto. Fulminato più che fulmine. Certo, se non fosse stato costretto a correre anche la batteria (cosa che prima non faceva), certo se i suoi lenti compagni lo avessero messo in condizione di vantaggio (invece era due metri dietro), certo se non ci fosse stato il maledetto ritardo. Lo sport ha vinto, la favola ha perso. La grande bellezza di questi mondiali è una: ricordare a tutti che la realtà ha i piedi per terra, che gli anni passano, che nessuno è mai quello che era. Per Bolt doveva essere un lungo magnifico grande addio, invece la fine è stata amara. Nemmeno ha tagliato il traguardo nella staffetta, è crollato prima. Porta a casa un bronzo, non il Sacro Graal. In Giamaica l’hanno già perdonato: don’t worry Usain, ti ameremo sempre. Doveva essere il mondiale dello scambio di poltrone: via Bolt, avanti un altro. Già, ma chi? Non Gatlin, giudicato poco rispettabile. Non ancora Coleman che ha il poster di Bolt in camera. Van Niekerk? Il sudafricano venticinquenne (6 turni in 7 giorni) era atteso a una mission impossible: la doppietta 200-400, realizzata negli uomini solo due volte e sempre da Michael Johnson. Sarà per un’altra volta: VN si è fermato all’oro sul giro di pista e sui 200 si è presentato spompato, guadagnando l’argento. Ma il crollo è sembrato anche psicologico. Alla prima uscita da probabile erede di Bolt ha fatto crac, ha rallentato e si è messo a piangere. A forza di presentare l’atletica come one man show e con i fuochi d’artificio, ci si dimentica che lo sport è una costruzione di sforzi e di consapevolezze. Lo ha detto anche Michael Johnson: «Mi ci sono volute dieci stagioni di lavoro per preparare la doppietta e avevo 27 anni. Tutto subito non si può». Ha dovuto mettersi le mani sul viso per nascondere la delusione e il pianto anche l’inglese Mo Farah nei 5.000. Era il suo addio alla pista. No double, stavolta, nemmeno per lui. Solo, solissimo, senza l’aiuto di una squadra, ha finito per essere soffocato dagli etiopi e nel rush finale da Edris, gli unici che riescano a batterlo (nel 2011 ci era riuscito Jeilan) e tra l’altro musulmani. Come lui. Ma il suo oro nei 10.000 è stato favoloso, come la sua carriera. Ora si darà alla strada. Dove per la prima volta si è disputata anche la 50 km di marcia femminile con sette atlete al via e cinque al traguardo. L’oro è andato alla portoghese Ines Henriques che ha stabilito il nuovo record del mondo in 4 ore 05’ 56”. L’unico di questi mondiali che le vale un assegno di160.000 dollari. Molto più dei 20.000 che porta a casa Bolt. Sconfitto anche lì. (la Repubblica)