Dopo la scoperta dei baby-boss con telefonini in cella, rimosso il direttore del carcere minorile di Airola
Troppe le criticità, infinite le emergenze. Due rivolte sedate in dieci mesi, risse nei momenti di socialità e poi quei selfie tra le stanze del carcere di Airola pubblicati su Facebook. Il troppo è troppo e così ieri il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha chiesto al Dap di intervenire immediatamente sull’ordine e la gestione […]
Troppe le criticità, infinite le emergenze. Due rivolte sedate in dieci mesi, risse nei momenti di socialità e poi quei selfie tra le stanze del carcere di Airola pubblicati su Facebook. Il troppo è troppo e così ieri il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha chiesto al Dap di intervenire immediatamente sull’ordine e la gestione dell’istituto di pena minorile in provincia di Benevento e nel giro di un’ora è stato rimosso il direttore Antonio Di Lauro e nominato Gianluca Guida che coordinerà anche Nisida, dove resterà direttore. È la prima risposta dello Stato allo scandalo delle foto e delle chat dei baby-boss della camorra. Un caso che andava avanti da almeno un anno. «Sei la storia della mia vita, da tua madre». E poi: «Ti difenderò da tutto, non temere», firmato «tua sorella». Il 16 febbraio e il 10 marzo qualcuno ha scritto su una delle pagine Facebook finite nel vortice del ciclone dopo la scoperta di cinque foto pubblicate da sei ragazzi detenuti al carcere di Airola. Foto scattate da un telefono cellulare e «postate» sui social il 6 e il 27 luglio. Ma i commenti sotto le dediche di madre e sorella risalgono a cinque mesi prima e sono importanti ai fini investigativi perché sotto ai due post c’erano i «mi piace» del titolare della pagina di Facebook che in quel momento era in galera, come lo è tutt’ora perché accusato di associazione camorristica. Questo dimostra che i telefoni cellulari erano in uso già mesi prima delle foto pubblicate. Ma c’è ancora una prova inconfutabile. È spuntata un’altra foto, questa volta pubblicata dieci mesi fa, sempre sullo stesso profilo, il 26 settembre del 2016. Quattro ragazzi a torso nudo, in una stanza del carcere di Airola, uno accanto all’altro. Hanno il corpo pieno di tatuaggi, barbe incolte e sguardo duro. Sotto la foto decine di commenti. C’è chi riconosce il proprio familiare appellandolo con un soprannome, chi invece augura una «rapida libertà» a tutti e chi «raccomanda» un congiunto ad uno degli autori della foto pubblicata, sapendo probabilmente che avrebbe potuto leggere il commento. «Mi raccomando ci sta anche mio figlio lì», scrive una donna. Sono le foto dei baby-boss del carcere di Airola i quali si facevano selfie e sfidando le istituzioni e i controlli li pubblicavano sui social. Che qualcuno avesse i cellulari in carcere ad Airola si era compreso anche durante il documentario di Michele Santoro «Robinù». In una scena, mentre le telecamere indugiavano nelle riprese di scene di vita all’interno del penitenziario, si notava un cellulare tra le mani dei ragazzi. Questo non è certo passato inosservato agli agenti di polizia penitenziaria che hanno condotto indagini ed ispezioni mirate e hanno sequestrato più di un telefono cellulare e sim non intestate ma attive. E così per mesi i baby-boss delle «paranze dei bambini» di Forcella e Decumani, dei killer del clan D’Amico di Ponticelli, dei «muschilli» al servizio della camorra ai Quartieri Spagnoli, hanno mandato sms, scritto dediche, parlando di notte con i loro familiari, gli amici e forse anche gli affiliati. Questo il sospetto che ha portato il Sappe a denunciare due giorni fa «lo stato di emergenza nel quale si vive e si lavora al carcere minorile di Airola». (Corriere del Mezzogiorno)