È iniziato il declino di Trump? Il presidente più isolato che mai. I suoi uomini se ne vanno. Riflettori sul vice Pence
Sette mesi dopo tutti gli uomini del presidente sono stati silurati. Per motivi diversi: Michael Flynn, consigliere della Sicurezza Nazionale, per i contatti elettorali con i russi; Reince Priebus, capo dello staff, perché incapace di mantenere l’ordine; Sean Spicer, il portavoce, considerato inetto, si è dimesso; Steve Bannon, principe populista, oscurava il presidente e osteggiava […]
Sette mesi dopo tutti gli uomini del presidente sono stati silurati. Per motivi diversi: Michael Flynn, consigliere della Sicurezza Nazionale, per i contatti elettorali con i russi; Reince Priebus, capo dello staff, perché incapace di mantenere l’ordine; Sean Spicer, il portavoce, considerato inetto, si è dimesso; Steve Bannon, principe populista, oscurava il presidente e osteggiava tutti nel governo, da Ivanka e Jared (che chiama «Javanka») ai generali interventisti e ai «globalisti» economici. Nell’ultimo mese siluramenti e fughe dalla Casa Bianca di Trump sono aumentati a ritmo precipitoso: quattro teste sono cadute per contenere intrighi di palazzo e fughe di notizie (l’ultimo direttore della comunicazione, Anthony Scaramucci, è durato 11 giorni). Ora il nuovo capo dello staff John Kelly promette disciplina. Ma molti avvertono che la vera ragione del crescente isolamento di Trump è proprio Trump. Quest’estate il presidente ha alienato i repubblicani al Congresso, trattandoli come fossero suoi dipendenti e insultando il loro leader Mitch Mc-Connell per il fallimento nel cancellare la riforma sanitaria di Obama. L’ultima settimana è stata forse la peggiore della presidenza. Dopo critiche e appelli inascoltati sulla necessità di una sua condanna dura contro i nazionalisti bianchi di Charlottesville, è iniziato un esodo che riguarda anche il mondo del business. Quando importanti imprenditori e industriali hanno cominciato a dimettersi da due forum consultivi della Casa Bianca, Trump ha replicato che intendeva comunque chiuderli. Il segretario al Tesoro Steve Mnuchin riceve lettere di ex compagni di Yale che lo supplicano di dimettersi e le voci che il consigliere economico Gary Cohn stia pensando di andarsene hanno fatto fluttuare la Borsa. La commissione consultiva per le arti si è svuotata di 16 membri su 17, quella per l’economia digitale si è dimezzata, resiste il consiglio dei leader evangelici (tranne un predicatore afroamericano) ma una dozzina di organizzazioni caritatevoli hanno annullato eventi nel resort di Mar-a-Lago. La vicinanza di Trump è così «tossica» che con Melania ha dovuto disdire la partecipazione a una festa per artisti premiati dal Kennedy Center: altrimenti i vincitori lo avrebbero boicottato. È l’inizio della fine di questa presidenza? Il biografo di Trump, Tony Schwartz, pensa che si dimetterà entro fine anno, anche per evitare il Russiagate: «Il cerchio si sta chiudendo». Il Wall Street Journal avverte che il presidente «è più a rischio di quanto non creda»: il «reality» che è stata la Casa Bianca deve finire, deve iniziare a governare. In tutto ciò il vice Mike Pence sembra il più calmo di tutti. Tesse gli elogi di Trump, paragonandolo a Theodore Roosevelt mentre viaggia per l’America Latina. Cammina sul filo: da una parte per non rovinarsi la reputazione e dall’altra per mantenere la fiducia di Donald. È la scommessa di un uomo che, qualunque cosa accada, è a un soffio dalla presidenza. A Saratoga ieri correva un cavallo chiamato «Tweeter in Chief»: chance di vittoria, una su 15. (Corriere della Sera)