E’ tornato a casa il 33enne di Pozzuoli ferito alla Rambla: “Ho visto troppo sangue, non so se viaggerò più”

20 agosto 2017 | 21:39
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E’ tornato a casa il 33enne di Pozzuoli ferito alla Rambla: “Ho visto troppo sangue, non so se viaggerò più”

Zoppica, riabbraccia il cognato che ha chiamato mentre scappava dall’inferno della Rambla e accarezza la sorella divorata dall’ansia. Gennaro Taliercio, l’operaio di Pozzuoli ferito di striscio dal furgone bianco della strage di Barcellona, arriva all’aeroporto di Capodichino alle 12.42 di ieri. È finalmente a casa. La visiera del cappellino azzurro calata sugli occhi e il […]

Zoppica, riabbraccia il cognato che ha chiamato mentre scappava dall’inferno della Rambla e accarezza la sorella divorata dall’ansia. Gennaro Taliercio, l’operaio di Pozzuoli ferito di striscio dal furgone bianco della strage di Barcellona, arriva all’aeroporto di Capodichino alle 12.42 di ieri. È finalmente a casa. La visiera del cappellino azzurro calata sugli occhi e il volto provato, si appoggia ai familiari: «Ho visto scene orribili tanto sangue. Non so se viaggerò più, a Barcellona non tornerò». Il rione Artiaco si stringe al 33enne con un applauso e una nipotina lo accoglie con i versi di una canzone di Vasco scritti su uno striscione steso sul balcone. La piccola è la prima a corrergli incontro quando scende dall’auto. Al secondo piano della palazzina, sull’uscio, lo attende invece l’anziana madre: un abbraccio commosso sul pianerottolo, poi scoppiano in lacrime. Dalla t-shirt e dai bermuda spuntano graffi ed escoriazioni, mostra ferite sul fianco e sulla gamba. «Ora sto bene – dice – ho visto di tutto in quei minuti terribili, non posso più chiudere gli occhi. Il furgone andava a zig zag, mi sono ritrovato a terra e poi sono scappato». Un viaggio di piacere si è trasformato in un incubo che lo ha segnato per la vita. «Accanto a me c’erano tanti feriti. Anche quella famiglia di Legnano, poi ho saputo…». Si ferma, passa una mano sugli occhi come ad allontanare quell’orrore. «Ho visto donne e bambini che sanguinavano, dallo spavento mi sono allontanato dal punto dell’incidente. Sparavano. Sono arrivato in albergo poi sono stato portato in ospedale. Ora sono distrutto, non ho riposato». Il cognato, Salvatore Ruopolo, lo sorregge: «Mi ha chiamato mentre scappava, in Italia non era ancora arrivata la notizia dell’attentato. Piangeva e pensava alle altre persone ferite, a come poteva aiutarle». Un disguido ha ritardato il rientro del 33enne da Barcellona: aveva dimenticato i documenti in albergo ma l’intervento del Consolato italiano gli ha consentito di prendere regolarmente il volo solo con la patente di guida. Ora si guarda avanti. Mentre Pozzuoli accoglie Gennaro, continuano i rientri all’aeroporto di Capodichino. Agli arrivi, i giovanissimi Carmine Sannino e Diletta Silvestri riabbracciano i genitori. «Il furgone ha fatto inversione – racconta Carmine – veniva verso di noi e falciava le persone come birilli. Abbiamo viste corpi che volavano, gente che è scampata alla morte. Subito ho pensato a un attentato. Per fortuna in quel furgone non c’era esplosivo». Diletta ha gli occhi lucidi: «Ci siamo rifugiati nel deposito di un negozio, i primi minuti sono stati di panico. Urla, pianti, abbiamo pensato al peggio. È stato terribile». Dopo l’attentato i ragazzi si sono barricati in casa: «Non abbiamo partecipato alla marcia per paura». Provato anche Giuseppe, indossa la maglia con i colori del Barcellona: «Finora avevo visto queste cose solo in tv, ho visto il terrore negli occhi della gente. Siamo impotenti: non c’è modo di difendersi». (la Repubblica)