I racconti degli italiani a Barcellona: «Le persone saltavano per aria. Per ore rifugiati in libreria»
«Il camion non mi ha preso perché sono saltato via». Alessio Stazi, 29 anni, romano, ex vicepresidente del municipio IX della Capitale, da un anno trasferito a Barcellona, era sulle Ramblas ieri quando i terroristi hanno attaccato la strada più frequentata dalla capitale catalana. «Sono vivo solo perché non sono riusciti ad ammazzarmi, ma io […]
«Il camion non mi ha preso perché sono saltato via». Alessio Stazi, 29 anni, romano, ex vicepresidente del municipio IX della Capitale, da un anno trasferito a Barcellona, era sulle Ramblas ieri quando i terroristi hanno attaccato la strada più frequentata dalla capitale catalana. «Sono vivo solo perché non sono riusciti ad ammazzarmi, ma io ero lì nel mezzo, li ho visti, in pochi secondi ho visto uccidere non so quante persone — ha scritto sul suo profilo Facebook pochi minuti dopo l’attentato, mentre era nel sottoscala di un negozio dove è rimasto per ore in attesa di poter tornare a casa — È stato terribile percepire di essere nel mirino, puntato dal camion, vedere persone colpite volare via di fronte a me». Alessio è uno dei nostri connazionali che negli ultimi anni sono immigrati nella capitale catalana. A cui si aggiungono i turisti: circa mezzo milione all’anno. Ieri il ministero degli Esteri ha inviato una squadra dell’Unità di Crisi per assisterli e per verificare la presenza di italiani tra i feriti. Decine di loro ieri pomeriggio si trovavano sulle Ramblas quando il van ha iniziato a colpire la folla e descrivono scene agghiaccianti: «Il conducente guardava e sorrideva, aveva la barba lunga. È stato orrendo» racconta Rossella Petrella, in vacanza con un gruppo nella città catalana. «Ci siamo visti arrivare addosso il van — aggiunge Saverio, 30 anni, che era lì in vacanza con la fidanzata Chiara — ho sentito le grida, ho guardato verso Plaça de Catalunya e a circa 80 metri di distanza ho visto il furgone che veniva veloce verso di noi. Vedevo le persone colpite che saltavano in aria». Saverio si è salvato anche grazie alla sua prontezza: «Immediatamente ho realizzato cosa succedeva: da come guidava era chiarissimo che era tutto voluto». È riuscito a precipitarsi nel negozio dove si trovava Chiara: «È stata una frazione di secondo, il furgone era praticamente già lì, a venti-trenta metri, veniva giù veloce». A qualche centinaio di metri c’era Carlo, anche lui italiano, cinquantenne, che ha assistito impotente alla strage dentro al chiosco di torroni in cui lavora: «Correva nella parte centrale pedonale della Rambla a tutta velocità, almeno 40-50 chilometri l’ora — dice — Ho visto gente sbattuta a sinistra e a destra». Anche lui non ha avuto dubbi sul fatto che fosse un’aggressione intenzionale: «Correva a zig-zag per cercare di prendere tutto quello che poteva». Molti nostri connazionali che si trovavano nella zona, anche se non hanno assistito direttamente all’attentato, hanno passato ore chiusi in negozi e ristoranti in attesa che la polizia mettesse in sicurezza le strade. Come Marika Zorzi, 32 anni, giornalista free lance padovana, a Barcellona da un mese per lavorare durante la stagione turistica: «Ero in una strada laterale, ho visto la gente fuggire verso di me urlando, ho pensato che mi avrebbero travolta e sono riuscita a mettermi al sicuro in una libreria — racconta — insieme a me c’erano una ventina di persone, ci siamo chiusi dentro». Sono usciti quattro ore dopo. Rebecca Vitullo, studentessa abruzzese, ha trovato rifugio nella chiesa di Santa Maria del Pi, insieme ad altri turisti. Sono quelli che hanno avuto fortuna, spesso per un puro caso, e ora possono raccontarlo. «Noi ci siamo salvati perché mia figlia, che ha 6 anni, voleva ancora un macarones — dice dall’albergo Celeste Gallieri, 39enne romana, in vacanza a Barcellona con la famiglia — Dopo il mare siamo andati a mangiare alla Boqueria che erano già le 15 e una volta finito avevamo deciso di andare verso Plaça de Catalunya. Ma la piccolina voleva un macarones e siamo tornati in albergo. Abbiamo sentito dalla nostra stanza il botto del van contro il chiosco: ci siamo affacciati e abbiamo visto la gente che correva e la polizia arrivare subito». Avrebbero potuto essere anche loro là sotto. «Alla bimba — spiega Celeste — abbiamo raccontato che c’era stato un incidente stradale: solo l’innocenza della sua età può farle credere che siamo rimasti chiusi in albergo ore per una cosa del genere». (Corriere della Sera)