Il dramma dei cilentani in fuga dal Venezuela: «Così ci siamo messi in salvo». La maggior parte sono di Camerota
In Venezuela c’è una comunità da salvare. È quella di centinaia di cittadini di Camerota e di altri comuni del Cilento trasferitisi in cerca di fortuna in America latina negli anni ’50 ed ora prigionieri di una nazione in balia della violenza. Costretti a vivere rinchiusi in casa, spesso senza riuscire a trovare alimenti e […]
In Venezuela c’è una comunità da salvare. È quella di centinaia di cittadini di Camerota e di altri comuni del Cilento trasferitisi in cerca di fortuna in America latina negli anni ’50 ed ora prigionieri di una nazione in balia della violenza. Costretti a vivere rinchiusi in casa, spesso senza riuscire a trovare alimenti e farmaci di prima necessità. L’sos arriva da Marina di Camerota, il paese con il maggior numero di emigrati in Venezuela. Qui quasi tutti parlano lo spagnolo e in ogni strada c’è qualcosa che ricorda il Venezuela. La strada principale del paese è dedicata a Simon Bolivar e sul lungomare si erge monumentale il busto del rivoluzionario venezuelano. «Non possiamo più restare a guardare – spiega con gli occhi lucidi Daniela Ruocco dell’associazione italo-venezuelana Alma Llanera di Marina di Camerota – dobbiamo fare qualcosa per aiutare i nostri concittadini che stanno in Venezuela». Daniela è rientrata in Italia già da alcuni anni ma in Venezuela vive ancora la sorella e alcuni parenti. «La situazione è terribile – continua – si rischia la vita ogni giorno. Mancano gli alimenti ma anche la carta igienica, il sapone, i deodoranti. È come vivere in una zona di guerra». Da Camerota è scattata subito una gara di solidarietà. «Abbiamo effettuato nei mesi scorsi diverse raccolte di farmaci – spiega Daniela – e abbiamo aderito come associazione Alma Llanera all’associazione umanitaria “Ali” che raccoglie medicinali e presidi sanitari in tutta Italia». Il Venezuela “saudita” degli anni Settanta del secolo scorso, quello nel quale arrivarono anche migliaia di migranti cilentani in cerca di fortuna, non è altro che un pallido ricordo. Oggi, in uno Stato alla fame, l’unico obiettivo di Maduro, ex sindacalista ed ex tranviere, scelto da Chávez per succedergli poco prima di morire, è quello di imporre una dittatura e annullare qualsiasi appuntamento democratico. Ormai in tanti stanno cercando di fuggire e molte compagnie aeree, tra cui ad esempio Lufthansa, hanno deciso di sospendere i voli. «Purtroppo il potere e i soldi sono in mano a pochi che hanno deciso di mettere alla fame il popolo – racconta Antonella Paccione, ex titolare di una libreria a Caracas – sono stata costretta a lasciare tutto e a rientrare a Marina di Camerota con mia figlia di 17 anni lo scorso 12 luglio. Mio marito invece – continua – è rientrato in Italia già lo scorso anno con l’altra mia figlia. Dopo 40 anni ha chiuso il suo studio da commercialista ed è tornato in Italia. Non è stato facile prendere questa decisione». Poi aggiunge: «In Venezuela ho assistito a rapimenti e a sparatorie, sono viva per miracolo. Una volta – racconta con le lacrime agli occhi – sono rimasta bloccata all’interno dell’ambasciata Italiana a causa di una protesta. Buttavano bombolette con gas tossico e sparavano sulla folla». «I diritti umani non vengono rispettati, siamo davanti a un totalitarismo spietato. In città si gira il minimo indispensabile, in tuta, scarpe da ginnastica e con uno zainetto sulle spalle con acqua e bicarbonato e mascherine». Il sogno di Antonella? «Tornare a vivere in Venezuela – risponde – ma solo quando questa situazione sarà passata. Abitavano in una zona residenziale di Caracas, nella zona Est, dove fino a pochi anni fa si viveva benissimo. Poi è scoppiata una vera e propria guerra civile. Ho lasciato tutto, non so cosa troverò se mai dovessi tornare». Il suo rientro in Italia non è stato facile. «Ho dovuto superare una decina di controlli. Ho avuto paura. In aereo ho viaggiato con tantissimi italiani, quasi tutti anziani che fuggivano dalla guerra. Perché in Venezuela, nonostante il silenzio del Mondo, si sta combattendo una vera e propria guerra». Una guerra che tiene con il fiato sospeso una intera comunità, quella cilentana, che ha sempre guardato al Venezuela come un paese amico e oggi si stringe nella sofferenza di quanti, in queste ore, rischiano la loro vita. (La Città)