Il racconto dei napoletani dall’inferno della Rambla: “Noi a Barcellona tra corpi travolti, terrore e morte”

18 agosto 2017 | 19:28
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Il racconto dei napoletani dall’inferno della Rambla: “Noi a Barcellona tra corpi travolti, terrore e morte”

Sono testimonianze di terrore e orrore quelle che arrivano dai tanti napoletani che si trovavano nella zona delle Ramblas a Barcellona durante l’attacco terroristico. Emilio, imprenditore, era sulla strada dove il furgoncino ha travolto i passanti: «C’erano corpi a terra, persone che urlavano. Poi abbiamo visto gente che arrivava con i mitra in mano, per […]

Sono testimonianze di terrore e orrore quelle che arrivano dai tanti napoletani che si trovavano nella zona delle Ramblas a Barcellona durante l’attacco terroristico. Emilio, imprenditore, era sulla strada dove il furgoncino ha travolto i passanti: «C’erano corpi a terra, persone che urlavano. Poi abbiamo visto gente che arrivava con i mitra in mano, per fortuna io e mia moglie siamo riusciti a salire su un taxi e ad allontanarci». Ha vissuto momenti da incubo anche Marina Gargiulo, impiegata in un’azienda napoletana, a Barcellona con il marito Antonio Mattaceraso, avvocato, e i tre figli. Racconta il panico, i feriti sull’asfalto e il tonfo dei corpi travolti dal furgone killer: «Eravamo all’interno dello Starbuks sulla Rambla, seduti a un tavolo accanto a una vetrata quando è scoppiato l’inferno. All’improvviso ho sentito dei tonfi, come dei rumori sordi, poi urla, pianti, strepiti. Persone che entravano terrorizzate nel locale. Abbiamo capito subito che si trattava di un attentato. Ho pensato solo a prendere con me le bambine e metterle in salvo, lontano dalla vetrata, mentre la gente si accalcava. Ci siamo ricavati un cantuccio, tenendoci per mano, mi sono stesa sopra alle bambine e abbiamo aspettato». Fuori dal locale scorrevano le immagini della tragedia. «Mio marito – afferma Gargiulo – dai vetri vedeva i corpi di persone a terra. A quel punto ho capito che i tonfi che avevo sentito erano il rumore di corpi che sbattevano contro le pareti. Il personale ha abbassavo le saracinesche e siamo rimasti chiusi dentro, rintanati per quasi un’ora. C’erano bambini che piangevano, una ragazza ha avuti una crisi, tremava tutta, non si fermava». Quindi la coppia è riuscita ad allontanarsi da quell’inferno: «I camerieri distribuivano bicchieri d’acqua, ghiaccio, hanno mantenuto la calma, sono stati bravissimi. Poi hanno aperto una porta nel retrobottega che conduceva nella hall di un albergo. La polizia ci ha fatti uscire a gruppi di cinque e ci siamo trovati in una strada laterale. Ci invitavano a camminare velocemente, ma non sapevamo neppure dove ci trovassimo, avevamo solo una cartina della città. Per fortuna è passavo un taxi e ci ha riaccompagnato in hotel. Mio marito ha ancora negli occhi le immagini di quei corpi a terra, io non riesco a dimenticare quel rumore sordo sulle pareti». Gianluca Marino racconta del silenzio surreale seguito all’attacco: «Qualche minuto prima che il furgone si catapultasse sulla folla – ricorda – stavo per passare proprio di là. Potevo esserci io tra quei morti e quei feriti. E, invece, siccome la mia compagna ritardava a uscire dalla stanza dell’albergo dove ci troviamo, ho fatto tardi e ho assistito inerme all’ultima parte della corsa del mezzo. Poi ho sentito un gran baccano di gente che urlava, ambulanze e sirene e ho sentito anche uno sparo. Poliziotti con i mitra e uomini dei reparti speciali hanno, intanto, circondato un ristorante». Gianni Avallone, dirigente di banca, era sulla Rambla con moglie e figlia, poco prima del raid: «Per puro caso non siamo stati coinvolti. La strada era piena di giovani italiani e temo per la loro sorte. Il consolato ci ha chiesto di rimanere in albergo, ma domani torniamo in Italia». È a Barcellona dal 7 agosto con la figlia Antonella Pane, architetto e attivista dei comitati civici napoletani. Ha preso una casa in affitto per le vacanze a 400 metri dalle Ramblas, ma si è trovata coinvolta al momento della fuga della folla dopo l’investimento del furgone: «Ci siamo rifugiati in un negozio che ha abbassato la saracinesca. Non c’è un’aria serena qui. L’altro giorno hanno rubato il cellulare a mia figlia. L’organizzazione dei soccorsi è stata rapida ed efficiente: tutte le strade sono state subito transennate e chiuse. Quasi se lo aspettassero». L’avvocato Gennaro Caiazzo e la dottoressa Emanuela Esposito soggiornano in un albergo nei pressi della Rambla, ma al momento dell’attentato si trovavano al Museo del mare. «All’improvviso – raccontano – hanno cominciato a farci uscire dal museo, ci hanno spiegato che c’era stato un attentato. Ci siamo spaventati e abbiamo iniziato a correre per raggiungere l’albergo ma siamo rimasti chiusi all’interno del Raval poiché tutta la zona è stata transennata per circa due ore. La città era tutta blindata». Molti napoletani rimasti fuori dall’area attaccata hanno cercato di raggiungere gli alberghi ma non ci riuscivano perché la zona è stata subito transennata. Il portiere spagnolo del Napoli Pepe Reina ha pubblicato una foto di Barcellona e ha rilanciato l’invito della polizia a non pubblicare foto dei feriti in segno di rispetto delle vittime e dei loro familiari. Vincenzo Guida, sindaco di Cesa, comune in provincia di Caserta, ha contattato alcuni concittadini che erano andati in pellegrinaggio a Lourdes e di ritorno si sono trovati nel pieno dell’attentato: «Mi hanno assicurato che stanno tutti bene e sono in contatto con la Farnesina». Si trova a Barcellona il videomaker Bruno Guarino: «Un elicottero sorvola l’albergo dove noi ci siamo barricati». (la Repubblica)