In volo sul Vesuvio ferito. Ora è allarme del Cnr: «Rischio colate di fango con i temporali autunnali»

1 agosto 2017 | 21:53
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In volo sul Vesuvio ferito. Ora è allarme del Cnr: «Rischio colate di fango con i temporali autunnali»

Visto dall’alto è ancora più desolante. Il nero degli alberi inceneriti sui fianchi del Vesuvio disegna un paesaggio postatomico. L’elicottero dell’Arma, VII nucleo di Pontecagnano, volteggia in un pomeriggio di caldo infernale. È appena partito dall’aeroporto dell’Aeronautica militare che offre continuo supporto. Indugia a lungo sul versante ovest, mentre a bordo si scattano foto e […]

Visto dall’alto è ancora più desolante. Il nero degli alberi inceneriti sui fianchi del Vesuvio disegna un paesaggio postatomico. L’elicottero dell’Arma, VII nucleo di Pontecagnano, volteggia in un pomeriggio di caldo infernale. È appena partito dall’aeroporto dell’Aeronautica militare che offre continuo supporto. Indugia a lungo sul versante ovest, mentre a bordo si scattano foto e si fa la conta dei danni. Il generale regionale dei carabinieri forestali, Sergio Costa, scuote la testa: «Sono preoccupato per ciò che potrebbe accadere con le piogge autunnali – dice – con tutta questa distruzione si rischiano fiumi di fango fino alle abitazioni. Serve subito un tavolo di crisi per la tutela idrogeologica tra autorità amministrative e politiche. Bene ha fatto il governatore De Luca a chiedere l’intervento dell’unità di crisi». Anche l’Ordine degli ingegneri lancia un allarme specifico e chiede più pluviometri nei paesi alle falde del vulcano. Ma in serata la notizia più preoccupante arriva dal Consiglio nazionale delle ricerche. I residenti nei Comuni ai piedi del Vesuvio rischieranno grosso nei prossimi mesi. Ad annunciarlo è Silvana Pagliuca, ricercatrice e geologa: «Senza vegetazione le aree a valle possono essere interessate da scorrimento di flussi fangoso-detritici». Mancando vie naturali potrebbero scorrere sulle strade e «causare danni a persone e cose». Questi flussi possono diventare «devastanti nel giro di pochi minuti». Ma c’è di peggio: «Tali aree – scrive Pagliuca – non dispongono, attualmente, di alcuna difesa; i cittadini possono solo sperare che le prossime piogge non siano ‘tipo nubifragio’, in modo che poco alla volta la cenere sia dilavata». Come evitare disastri tipo il fango di Sarno del ‘98? Propone la studiosa: «Il sistema di allarme idrogeologico immediato è necessario per la difesa dei cittadini delle aree urbane del Vesuvio e del Somma, interessate spesso da nubifragi che sopraggiungono improvvisamente E’ evidente che a causa della spinta urbanizzazione non è possibile evitare eventuali danni ai manufatti». Intanto i minuti di ricognizione aerea confermano le prime stime dei tragici roghi: almeno 2.000 ettari di boschi di pini distrutti, 600 specie animali in pericolo, un intero ecosistema aggredito mortalmente. Il 50% della riserva integrale Tirone alto, voluta più di 50 anni fa dalla Forestale, completamente incenerita. «Serviranno 20 o 30 anni per rivedere quelle pinete cui eravamo abituati – spiega Costa – a patto però che si cominci subito con una efficace opera di rimboschimento». E ovviamente a patto di prevenire altri roghi dolosi. A terra squadre di carabinieri forestali specializzati nelle indagini compiono rilievi su uno dei primi punti dove si sono scatenati i roghi. Torre del Greco, via Pisani, più in alto dei cosiddetti «Camaldoli». È qui che una pool di esperti, coordinati dal colonnello Angelo Marciano, ha recintato un fazzoletto di terreno incenerito con del nastro per delimitare una possibile crime scene. I carabinieri forestali in tuta bianca si concentrano su un quadrato di un metro per un metro dove la cenere è curiosamente bianca. Spiega Marciano: «È proprio in quel punto che è stato appiccato uno degli incendi, è lì che potremmo trovare tracce di inneschi, sostanze, o anche piccolissimi dettagli, all’apparenza insignificanti ma che possono aiutarci a capire tante cose». Perché anche gli incendi si possono leggere come la scena di un delitto. Il metodo utilizzato si chiama «Mef», acronimo di Metodo di evidenze fisiche. Gli esperti seguono il percorso delle fiamme al contrario e arrivano al punto di partenza. Proprio lì si trovano tracce importanti. In un caso è stato rinvenuto un innesco ancora inutilizzato: un semplicissimo zampirone con dei fiammiferi attaccati. «Chi li usa riesce poi ad allontanarsi molte ore prima che le fiamme si alzino – spiega il colonnello – ma ormai abbiamo piazzato telecamere nascoste ovunque, adesso è molto più difficile passare inosservati». Ma adesso al di là dei piromani i sindaci sono avvertiti che c’è un’altra emergenza da affrontare: mettere in sicurezza i residenti dagli effetti delle piogge che prima o poi arriveranno. Dopo il fuoco c’è il rischio delle colate di fango. (Corriere del Mezzogiorno)