L’ambasciatore italiano a Tripoli: «Inutili le minacce di Haftar. La nostra missione va avanti»

4 agosto 2017 | 16:56
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L’ambasciatore italiano a Tripoli: «Inutili le minacce di Haftar. La nostra missione va avanti»

Le minacce del generale filoegiziano Khalifa Haftar non fermano la missione messa in cantiere dall’Italia, mobilitando navi militari, per impedire ai trafficanti di mandare verso il nostro Paese migranti e rifugiati su imbarcazioni precarie. Ad affermarlo è l’ambasciatore della Repubblica italiana a Tripoli, Giuseppe Perrone, impegnato in queste ore in una serie di contatti per […]

Le minacce del generale filoegiziano Khalifa Haftar non fermano la missione messa in cantiere dall’Italia, mobilitando navi militari, per impedire ai trafficanti di mandare verso il nostro Paese migranti e rifugiati su imbarcazioni precarie. Ad affermarlo è l’ambasciatore della Repubblica italiana a Tripoli, Giuseppe Perrone, impegnato in queste ore in una serie di contatti per chiarire il senso dell’operazione approvata mercoledì a Roma dal Parlamento. Ambasciatore, quale valore va assegnato alle parole del generale Haftar? L’uomo più potente della Cirenaica ha detto a Lorenzo Cremonesi che farebbe bombardare ogni nave militare italiana in entrata nelle acque libiche senza autorizzazione del suo autoproclamato Esercito nazionale. Questo blocca la missione decisa la settimana scorsa dal governo? «No, non ferma la missione italiana, già concordata con le legittime autorità libiche che fanno capo al Consiglio presidenziale sulla base di una sua richiesta». Si riferisce al Consiglio presieduto da Fayez Al-Sarraj. «Sì, quello riconosciuto dalle Nazioni Unite. Noi siamo interessati a operare d’intesa con tutti i libici se è possibile, e ovviamente con il generale Haftar. Quindi cercheremo il contatto anche con lui e faremo in modo di spiegare gli obiettivi di una missione che non è militare, ma di assistenza alle autorità libiche affinché possano esercitare la loro sovranità in tutto il territorio del Paese. Lo stiamo spiegando a tutte le autorità. È una missione che serve a rafforzare la sovranità libica, non a indebolirla». Lei ha incontrato Haftar di recente? «L’ultima volta, credo, in aprile». Girano voci su una colazione recente tra di voi. «In aprile. Poi abbiamo parlato al telefono». Nelle ultime ore? «No». La deputata del Pd Lia Quartapelle ha dichiarato: «La Farnesina ha fatto sapere di aver tenuto costantemente informato Haftar delle circostanze che hanno portato alla missione». «Ieri ho dato un’intervista alla tv del generale, Libya al Hadath, e ho spiegato il senso della missione: serve all’intera Libia, perché la sua sovranità è messa in pericolo dai trafficanti ». All’Organizzazione mondiale per le migrazioni si teme che nei centri libici di detenzione per migranti e rifugiati le condizioni possano peggiorare. In quei campi libici, ricorda l’Oim, non mancano già «trattamenti inumani». «La nostra è una strategia complessiva. Con la Guardia costiera libica, una parte. Lavoriamo al Sud anche con la Guardia di frontiera e con i Paesi vicini. L’obiettivo è che il traffico di esseri umani non entri proprio in Libia. Agiamo con sindaci del Sud e della costa perché ci siano alternative all’economia di questo traffico. Importante è anche migliorare le condizioni dei campi di accoglienza in Libia». Saif al-Islam, figlio del colonnello Muhammar al Gheddafi, ha evocato il colonialismo fascista e ha sostenuto che verso il suo Paese «gli italianimandano le loro navi per provocare». Quanto peso ha oggi Saif? «Non lo so. Penso che abbia ben altre questioni da cui difendersi». Dopo che gli tagliarono le dita con le quali fece il segno di vittoria e che è stato a lungo agli arresti? «Sì. Penso ai processi, alla Corte penale internazionale». Ambasciatore, in Libia i francesi restano nostri concorrenti più che alleati? «È un’opinione sua. Noi lavoriamo per raggiungere obiettivi condivisi: stabilità e riconciliazione nazionale. La Francia ha portato a Parigi due dei protagonisti più importanti, Sarraj e Haftar. Si erano già visti ad Abu Dhabi. A Parigi si sono messi d’accordo su alcuni principi, adesso vanno tradotti in risultati concreti. L’Italia continuerà a fare la propria parte». Non incontra troppi ostacoli? «In una situazione di frammentazione e conflitto interno le voci contro la missione italiana attirano più attenzione. Ovvio. Però qui c’è una forte domanda di sostegno verso un Paese amico, l’unico con una sua presenza in Libia, per la lotta alla criminalità. Ci aspettavamo risposte ostili da gruppi che per ragioni diverse, non tutte legate al crimine, hanno interesse a contrastare la nostra cooperazione con gli organismi di sicurezza libici addetti alle frontiere». La Guardia costiera libica non è proprio specchiata. «No. Ma lo era ancora meno quando abbiamo cominciato a collaborare. Loro stessi sono minacciati dai trafficanti. Però hanno iniziato a lavorare meglio in salvataggi e controllo dei confini. Gli arrivi in Italia, in luglio, sono diminuiti». (Corriere della Sera)