Ramblas, la sindaca accusa: «Non volevano le barriere». Madrid le chiedeva, la Generalitat le ha bloccate
L’emergenza terroristica in Catalogna si intreccia, inevitabilmente, con il processo separatista dalla Spagna perseguito dalle formazioni indipendentiste che controllano la Generalitat, cioè le istituzioni regionali catalane. I catalanisti hanno annunciato per sabato prossimo la loro risposta di massa al terrorismo, una manifestazione popolare. Per ora a scendere in piazza, il giorno dopo il minuto di […]
L’emergenza terroristica in Catalogna si intreccia, inevitabilmente, con il processo separatista dalla Spagna perseguito dalle formazioni indipendentiste che controllano la Generalitat, cioè le istituzioni regionali catalane. I catalanisti hanno annunciato per sabato prossimo la loro risposta di massa al terrorismo, una manifestazione popolare. Per ora a scendere in piazza, il giorno dopo il minuto di silenzio che ha visto insieme a una grande folla il re di Spagna, il premier Mariano Rajoy e i leader dell’indipendentismo, sono stati un gruppetto di nazionalisti spagnoli che gridavano slogan come «teroristas no bienvenidos» o «Stop islamizacion de Europa», osteggiato da un altrettanto sparuto gruppo di antifascisti che li hanno attaccati urlando «fuori i fascisti dai nostri quartieri». L’intervento delle forze dell’ordine ha separato i contendenti, sciolto le manifestazioni e ha ristabilito la calma sulle Ramblas, dove continua l’affollamento di turisti ma anche la raccolta, attorno ai luoghi degli investimenti, di candele e giocattoli. Di tutt’altro segno è stato il raduno di qualche centinaio di musulmani barcellonesi che nel pomeriggio di ieri hanno testimoniato la loro estraneità e ostilità al terrorismo con lo slogan «islam è pace» e «sono musulmano e non sono terrorrista». Una manifestazione analoga si è svolta a Ripoll, cittadina catalana da cui provengono i terroristi. All’evento hanno partecipato in prima fila genitori, amici e conoscenti dei killer per chiedere perdono alle vittime e esprimere il dolore per quanto accaduto. Nella polemica politica sulla prevenzione del terrorismo entra a gamba tesa Ada Colau, prima cittadina di Barcellona, eletta in una lista vicina agli indignados di Podemos, che accusa la Generalitat di non aver dato corso alle indicazioni venute dal ministero dell’Interno di Madrid per la costruzione di barriere che impedissero il passaggio di automezzi nelle aree pedonali delle Ramblas. La questione era già stata sollevata dal governo spagnolo, ma ora che l’accusa viene da un centro di potere catalano cambia la prospettiva. In realtà le posizioni della Colau sono piuttosto oscillanti, ora dà la responsabilità della mancata installazione di barriere alla Generalitat, ma aveva anche detto che queste barriere «riducono la nostra libertà». Sono tutti sintomi di una situazione politica incerta, in cui la volontà di portare avanti nonostante tutto il percorso separatista deve confrontarsi con l’esigenza, ora impellente, di riannodare i fili istituzionali per rendere efficace la difesa dal pericolo terroristico. Su questo c’è una differenza avvertibile tra la metropoli barcellonese, il suo carattere cosmopolita testimoniato tragicamente anche dal fatto che le vittime dell’attentato vengono da 35 diversi Paesi, e la Catalogna profonda e ancora in gran parte rurale. Alle testimonianze di solidarietà con Barcellona ferita che sono venute da tutto il mondo e da tutta la Spagna (compresa la squadra di calcio del Real Madrid storico avversario non solo sportivo di quella di Barcellona) non ha corrisposto un eguale sentimento da parte delle altre città catalane, dove non si è svolta alcuna iniziativa pubblica e popolare di sostegno, ma si sono solo letti avari comunicati burocratici delle autorità istituzionali. D’altra parte a Barcellona i partiti sostenitori della secessione non hanno la maggioranza, per ottenerla dovrebbero convincere l’estrema sinistra degli indignados, che sembra però più interessata alle questioni sociali che a quelle istituzionali. Ora le discrepanze tra comune e Generalitat sulla prevenzione del terrorismo possono alimentare questa contrapposizione, che ha motivazioni più profonde proprio nella sostanziale «estraneità» della metropoli internazionale al localismo dei centri minori. Sull’idoneità di una «Repubblica catalana» a reggere la sfida terroristica vengono espressi dubbi soprattutto dalla stampa nazionale spagnola. Alla base ci sono dati di fatto, a cominciare dall’estraneità dalla comunicazione tra i servizi di informazione europei di una regione che separandosi dalla Spagna finirebbe automaticamente fuori anche dall’Unione europea. El Mundo insiste sull’esigenza di una leale collaborazione tra le forze dell’ordine catalane e nazionali «oggi in dubbio» per responsabilità dell’orgoglio separatista. Aggiunge che «il nazionalismo ha innescato una vera bomba favorendo l’arrivo di immigrati da Paesi musulmani invece di quelli provenienti da Paesi di lingua spagnola, come parte della strategia di rottura con la Spagna, contribuendo così a trasformare la Catalogna in un centro cruciale per i gruppi salafiti». È solo un esempio delle riflessioni che collegano il separatismo con le penetrazioni estremistiche e terroristiche. Carlos Puidgemont faticherà a fronteggiare queste critiche che, per quanto unilaterali, contengono aspetti realistici. Nei prossimi giorni si tratterà di decidere sulle procedure per la proclamazione dell’indipendenza, e questo difficile passaggio coincide con una fase in cui l’opinione pubblica spagnola (e in parte catalana) chiede unità e non divisione per fronteggiare la sfida terroristica. Un problema che non si può eludere solo con l’enfasi retorica sull’indipendenza. (Avvenire)