Roma. Ennesimo sfregio al Colosseo. Turista tedesca incide il suo nickname su un pilastro antico
Roma. «Ma perché, cosa ho fatto di male? Ci sono tante scritte in giro, non pensavo di fare un danno così grave». La reazione è sempre la stessa. Giustificazioni senza buonsenso. Sono queste le parole della donna tedesca di 43 anni originaria dello Sri Lanka che martedì pomeriggio si è divertita a incidere con una […]
Roma. «Ma perché, cosa ho fatto di male? Ci sono tante scritte in giro, non pensavo di fare un danno così grave». La reazione è sempre la stessa. Giustificazioni senza buonsenso. Sono queste le parole della donna tedesca di 43 anni originaria dello Sri Lanka che martedì pomeriggio si è divertita a incidere con una pietra il suo “nickname” (Suba) su un pilastro di travertino originale. Lo scempio è andato in scena intorno alle ore 16,30 al primo piano del monumento, nell’ambulacro che ospita la parte finale della mostra in corso “Colosseo. Icona”, su una porzione di parete di duemila anni che sostiene l’arcata colossale. Un gesto insensato e goliardico. Ad accorgersi del gioco delirante è stata una guida turistica al lavoro, in quel momento, con un suo gruppo. «Stavo spiegando alcuni reperti in mostra quando mi è caduto l’occhio su una famiglia apparentemente indiana e ho visto la signora che stava scrivendo sul travertino», racconta Francesca Maria Casertano, guida dell’Agtar (Associazione guide turistiche abilitate di Roma). «La mia prima reazione è stata di stupore: lo faceva come se niente fosse. Ho sentito, addirittura, il rumore della pietra che incideva. L’ho fermata spiegando in inglese che non potevano farlo. Lei era sorpresa e pure infastidita del mio intervento. Per loro non sembrava un gesto grave. Da romana mi sono sentita ferita. A quel punto mi sono guardata intorno e, visto che non c’era nessuno, ho lasciato il mio gruppo per cercare i custodi. L’ho trovati dopo due minuti circa e per fortuna la famiglia non si era allontanata molto». Il personale interno alla Soprintendenza, in servizio alla mostra, ha quindi fermato la famiglia e dato l’allarme ai Carabinieri che presidiano la piazza del Colosseo, i quali hanno identificato la donna e l’hanno condotta al Comando di piazza Dante. Per la tedesca è scattata la denuncia per «danneggiamento aggravato su edifici di interesse storico e artistico». Stavolta il graffito feticista, lasciato come ricordo della visita al Colosseo dalla turista tedesca, ha fatto impensierire non poco la direzione dell’Anfiteatro Flavio: «Al primo piano le scritte sui pilastri di antico travertino originale sono rarissime. La signora tedesca ha dunque mentito dicendo che ce ne sono tanti – dichiara Rossella Rea – mentre forse possono esserci graffiti al piano terra sui filari di mattoni di età moderna». Quello che il personale del monumento ha appurato è che l’incisione è stata effettuata selvaggiamente su travertino originale: «Siamo di fronte ad un danno irreversibile – commenta la Rea – la scritta ha asportato materiale antico. Per quantificare il danno aspettiamo il sopralluogo tecnico del restauratore per decidere come intervenire. Si potrà ricoprire con malta del colore del travertino, ma comunque il danno è irreversibile – conclude la Rea – Non siamo di fronte ad una scritta di vernice che, se si interviene subito, non intacca il travertino». Il danno si inserisce in una lunga lista di precedenti “illustri” atti vandalici. E si riaccende l’attenzione sulla sicurezza interna alla casa dei gladiatori, dove i custodi della Soprintendenza sono ridotti al lumicino. Ne sono rimasti 16 in servizio con tre pensionamenti avvenuti. «Questo è l’ennesimo episodio che testimonia la mancanza di una vigilanza sufficiente in relazione all’estensione del monumento e al numero di visitatori – dice Isabella Ruggiero presidente dell’Agtar – Servirebbe un numero verde che almeno noi operatori del settore possiamo utilizzare in caso di necessità. E’ successo martedì con la turista vandala, ma sempre l’altro giorno è capitato ad una nostra turista derubata e la guida non è riuscita a trovare nessuno cui rivolgersi». (Il Messaggero)