La Costa d’Amalfi al tempo dell’impero romano: la riscoperta delle origini

17 ottobre 2017 | 16:48
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La Costa d’Amalfi al tempo dell’impero romano: la riscoperta delle origini

C’è stato un momento storico in cui la Costa d’Amalfi investigava sulle proprie origini, tanto che proprio in una fase in cui la storia e la cultura sono da fondamenta alla candidatura di Ravello in capo a tutta la Costiera come Capitale della Cultura, non si può ignorare il percorso tracciato da tali personalità. Nel […]

C’è stato un momento storico in cui la Costa d’Amalfi investigava sulle proprie origini, tanto che proprio in una fase in cui la storia e la cultura sono da fondamenta alla candidatura di Ravello in capo a tutta la Costiera come Capitale della Cultura, non si può ignorare il percorso tracciato da tali personalità. Nel 1974 “Ravello Nostra” era un sodalizio promosso dal sacerdote e storico ravellese don Giuseppe Imperato, insieme al musicologo Mario Schiavo, che ponevano al centro della propria attività la promozione dell’arte e della storia del versante amalfitano e diedero alle stampe “Le urne Romane della Costa d’Amalfi”, De Luca editore 1977.

Vittorio Bracco, allievo di Amedeo Maiuri, censì 46 urne cinerarie di età romana, localizzate in varie sedi, prevalentemente chiese della Costa, da Ravello ad Amalfi, a Scala, Atrani, Maiori Minori, Tramonti, Conca dei Marini, Pogerola, Vettica, Furore e fino a Positano.
La loro conservazione di queste urne fu garantita nel corso dei secoli dall’inserimento in giardini gentilizi come bacini e fontane o nelle chiese come acquasantiere o lavabi nelle sacrestie. Il sacerdote don Giuseppe Imperato, sostenne il Bracco nell’intraprendere la ricerca in campo archeologico, in assenza di una documentazione antica sui paesi della Costiera Amalfitana, dato che erano tempi difficili per compiere delle ricerche negli anni ’70, ma ancora oggi manca quella sensibilità per la conservazione e la riscoperta del patrimonio naturale e storico. Ancora oggi si riserva ancora una certa distanza per quei segni considerati minori, ma che costituiscono dei validi reperti per fornire una testimonianza della presenza del passato. Purtroppo le nostre chiese e le nostre piazze sono state in passato spogliate di questi segni minori, che ora vanno ad arricchire le collezioni private di ricche e prestigiose personalità.

L’Associazione Ravello Nuova, con don Imperato e Vittorio Bracco erano già negli anni Settanta lungimiranti nel documentare tali reperti minori, attraverso ben 52 illustrazioni fotografiche nel volume, che ne segnalavano l’esistenza, la sede e la titolarità. Le urne cinerarie della Costa d’Amalfi non sono mai state indagate a fondo da storici, epigrafisti ed archeologi, infatti secondo il Bracco Theodor Mommsen , principe degli epigrafisti e filologi, registro solo i pochi reperti registrati dal Matteo Camera e di Francesco Pansa ed inserite nella sua “Istoria dell’antica repubblica d’Amalfi” (Napoli 1724), riportate poi dal Muratori.

Bracco svolse quindi un lavoro originale e di fondamentale documentazione archeologica in rapporto ai primi insediamenti romani in costiera amalfitana. L’autore sottolinea nel testo come talvolta il partito decorativo e l’iscrizione funeraria di queste urne, da lui datate tra il I e il II secolo dopo Cristo, in età medioevale e moderna venissero erase e sostituite con simboli cristiani, sfuggendo così alla catalogazione epigrafica del C.I.L. (Corpus Inscriptionum Latinarum ), destino comune anche per i sarcofagi reimpiegati nelle chiese. Bracco riesce a rintracciare anche un’urna romana proveniente dalla costa d’Amalfi, finita poi nelle collezioni del British Museum di Londra.

Addirittura il Bracco in questo suo lavoro, ritrovò antichi contenitori delle ceneri di liberti e di schiavi occupati nelle tante ville sparse da Capo d’Orso a Positano, o iscrizioni funerarie con festoni e decorazioni funerarie trasposte nella Chiesa di S. Giacomo a Furore. Queste opere rivelavano la tipologia dei materiali utilizzati all’epoca e la come si svolgeva la vita nelle ville romane della Costiera, fino al periodo adrianeo. Quest’opera redatta da Vittorio Bracco meriterebbe una ristampa, perché ha ridato vita a reperti adattati a lavabi e acquasantiere, che sono andate ad arricchire le chiese e le sagrestie costiere.