La ginnasta Vanessa Ferrari e il volo interrotto con la rottura del tendine d’Achille: «Smetto? Non datemi per finita»
Ha spinto, ma questa volta non ha preso il volo. «Ero in fase di stacco, ma il salto non è venuto». Un rumore. «Ho sentito stoc». Un’occhiata. «Ho visto un buco dietro nel piede». Nessun dubbio, sin da subito. Il tendine d’Achille, quello del piede sinistro, operato un anno fa, si è rotto sulla pedana […]
Ha spinto, ma questa volta non ha preso il volo. «Ero in fase di stacco, ma il salto non è venuto». Un rumore. «Ho sentito stoc». Un’occhiata. «Ho visto un buco dietro nel piede». Nessun dubbio, sin da subito. Il tendine d’Achille, quello del piede sinistro, operato un anno fa, si è rotto sulla pedana dei Mondiali di Montreal, seconda diagonale, direzione medaglia. «Sì, potevo vincere». Vanessa Ferrari il giorno dopo, prima di salire su un aereo che la riporterà a casa, racconta con un filo di voce. Ferita e provata. «Ho faticato a dormire, mi fa male. Ho un tutore e ora mi stanno facendo un bendaggio anche all’altro piede». Ma non arresa, perché non si è farfalle cannibali per niente, perché non saresti tornata a giocarti un Mondiale a 27 anni, con avversarie sedicenni, superando delusioni e, appunto, infortuni. Una serie infinita, perché è vero che il mondo della ginnastica è per tutti un lungo percorso di sopravvivenza, ma è anche vero che la ginnasta italiana più forte di sempre è stata particolarmente sfortunata, almeno nella tempistica. «A Tokyo, nel 2011, si è infortunata nel riscaldamento, qui addirittura in finale. Erano i due Mondiali dove aveva più chance…» racconta sconsolato il suo allenatore (e c.t. azzurro) Enrico Casella, che come sempre l’altra sera a Montreal è stato il primo a soccorrerla e naturalmente non considera l’edizione del 2006, ad Aarhus, quando questo scricciolo di ferro si scoprì al mondo vincendo — allora 15enne — un oro nel concorso generale e due bronzi. Poi tante soddisfazioni, ma anche le lacrime amarissime dei Giochi olimpici, dove non ha mai raccolto medaglie. A Rio, dopo un altro quarto posto, la decisione di operarsi al tendine (il sinistro; il destro lo aveva già operato anni prima), di smettere e provare a fare l’allenatrice, a Brescia, con Casella. «Mi piace allenare. Ma poi guardando le altre mi è tornata voglia di gareggiare». Così tanta che, dopo aver debuttato in serie A a Eboli, aveva accelerato per partecipare al Mondiale, si era qualificata in finale e annusava aria di medaglia. «Di un oro per la precisione — continua Casella — In qualificazione aveva scelto un esercizio conservativo, che bastasse per raggiungere la finale. Per una medaglia poteva bastare. Lei in finale saliva per ultima, ha visto il punteggio della giapponese Murakami (che poi ha vinto): 14.233. Inserendo tutti i salti il suo esercizio aveva lo stesso livello di difficoltà e se la sarebbe giocata sull’esecuzione. Così mi ha detto: “Io faccio 14.300 e vinco l’oro”». «Sentivo che potevo riuscirci — conferma Vanessa — cinque minuti prima nel riscaldamento avevo eseguito tutto bene. Non avevo avvisaglie, mi dava forse più fastidio l’altro piede. E poi un bronzo e un argento al corpo libero ce li avevo già, ho deciso di non accontentarmi». La prima diagonale, la più difficile, era già stata archiviata, con un’ottima esecuzione. «Meglio della qualificazione». Sulla seconda, il crack. Anzi, «lo stoc». Vani, è questa la parola fine? «Ora torno e mi opero il prima possibile. Poi vado in vacanza a Cuba con il mio fidanzato Simone. Non voglio pensare ad altro. Qualunque cosa accadrà, sarà per una mia decisione. Attenti a darmi per finita troppo presto». Casella la conosce bene: «Il ritiro? Con lei non si sa mai». (Arianna Ravelli – Corriere della Sera)