Don Michele Barone contro il vescovo: «Sapeva tutto». Al gip nega le accuse: «Nessun esorcismo e abusi sessuali»
E’ arrivato per don Michele Barone il momento di potersi difendere. L’interrogatorio di garanzia del sacerdote, a cinque giorni dall’arresto, è stata l’occasione per rilanciare la palla verso la Diocesi che, dopo il suo arresto, si è ritrovata al centro di una bufera mediatica e lo ha scaricato. Don Barone accusa il vescovo di Aversa. Al gip ha detto che quei riti non erano esorcismi ma «preghiere di purificazione» e che «monsignor Spinillone era al corrente di tutto». «Non è affatto vero che il vescovo non sapeva, in quanto di volta in volta veniva da me informato e procedevo dopo la sua approvazione». Il vescovo, invece, nei giorni scorsi ha affermato di essere assolutamente all’oscuro di ciò che accadeva a Casapesenna e ha espresso solidarietà alle vittime. Il prete finito in carcere per violenza sessuale e maltrattamenti su una minore, si scaglia dunque contro Spinillo che in questi giorni ha preso le distanze dal sacerdote dei vip amico delle veggenti di Medjugorie. Michele Barone nel corso dell’interrogatorio ha chiarito più volte che non si trattava di esorcismi, che le sue erano pratiche consentite dalle regole del settore, ma soprattutto ha respinto l’accusa di avere abusato di quelle ragazze che oggi puntano il dito contro di lui. Tanto da dirsi pronto a querelarle in futuro «perché mi accusano ingiustamente». Il sacerdote ha dunque chiesto la scarcerazione, mentre le indagini sul suo conto si allargano e le voci su quanto di strano accade all’ombra del Santuario di Casapesenna si amplificano. E coinvolgono altre persone. E da Caserta il filo si riannoda fino ad arrivare a Roma. Dove, in un santuario frequentato da calciatori, cantanti e soubrette, Michele Barone è noto per attività di beneficenza. Consegne di pacchi alimentari per i poveri, ad esempio, acquistati con soldi di cui la Procura di Santa Maria Capua Vetere sta tentando di ricostruire la provenienza. Perché, sempre secondo l’accusa, quel denaro è servito anche a finanziare i pellegrinaggi a Medjugorie e a Cracovia che il sacerdote organizzava quasi ogni mese. Ottanta pellegrini a viaggio per una quota dai 500 agli 800 euro ciascuno. Spesso era il sacerdote ad anticipare le somme per i suoi adepti, salvo poi minacciarli per farsi consegnare il dovuto. Il giro di denaro collegato ai viaggi in Erzegovina e alle visioni delle veggenti amiche del parroco arriva, dunque, nella capitale. Gli accertamenti della Procura sono in corso dal luglio del 2017, ma nelle ultime settimane c’è stato un sprint sul fronte dell’acquisizione di notizie. E così è saltato fuori il collegamento tra don Barone e il santuario mariano capitolino dove, un po’ di tempo fa, Barone disse di aver conosciuto anche Luciano Moggi, «quando era il dg della Juve», ovvero l’uomo più potente del calcio italiano. Moggi, a dire del prelato, chiedeva al prete di «benedire i bianconeri in ritiro prima delle partite». Più passano i giorni e più si allarga la rete di contatti importanti del sacerdote arrestato con l’accusa di avere spacciato per esorcismi abusi sessuali e maltrattamenti su minorenni. E, a quanto pare, l’aspettativa di andare a Casapesenna per «liberarsi dal maligno» non era poi un affare così segreto. L’aura di spiritualità che avvolge il comprensorio del Tempio esiste da tre decenni, da quando don Barone portava ancora i calzoni corti e suo padre era sindaco del paese. Negli anni Novanta. Prima di lui altri sacerdoti hanno dunque contribuito a costruire l’alone paranormale che circonda la «Casetta di Nazareth» e il Tempio e la cappella all’interno della quale si tenevano i rituali. Un segreto di Pulcinella, al punto che se si digita su internet accanto alla parola «Casapesenna» il nome di un anziano e noto sacerdote della zona, il primo suggerimento di Google è «esorcista». E giù numeri di telefono, ai quali però da ieri non risponde più nessuno. Suggestione e mistero, ma anche business e tanti aspetti inquietanti di quella che forse è una vera e propria setta che aveva, fino alla settimana scorsa, il proprio fulcro in don Michele Barone. La Casetta di Nazareth nacque per accogliere orfani, ma nel tempo ha perso – almeno a leggere le carte dell’inchiesta – buona parte della sua connotazione misericordiosa. Negli ultimi trent’anni, Casapesenna è balzata agli onori della cronaca per le gesta del boss casalese Michele Zagaria. Ma all’ombra della camorra si muoveva un male forse altrettanto viscido, altrettanto pericoloso e capace di infiltrarsi nelle menti della gente. Diverse persone raccontano di essersi rivolte proprio ai preti di Casapesenna perché convinte di essere indemoniate. «Il diavolo mi ossessionava sin da quando ero bambino. Mi diceva di mangiare terreno e formiche. Mi chiudevo in cantina e obbedivo», racconta un uomo originario di Ponticelli che vive da anni nel Beneventano. «Da adulto, sposato e ormai padre di tre figli, i miei problemi si sono di nuovo manifestati. Perdevo il controllo di me stesso se ero di fronte a cose sacre e una voce che mi diceva di far del male ai bambini. Attraverso un gruppo di preghiera sono arrivato a Casapesenna dove un anziano prete, don B., mi individuò subito dicendo che avevo “qualcosa” che non andava». Da quel momento iniziarono confessioni, benedizioni e i riti esorcisti che, dagli inizi del 2000, sarebbero andati avanti fino a due anni fa. Testimonianze, dunque, che confermano l’esistenza di un gruppo di esorcisti abusivi all’ombra della diocesi di Aversa. Ciò che sembra fosse da tempo sotto gli occhi di tutti, tanto da essere noto dal Sannio al Napoletano, non sarebbe però mai giunto alle orecchie del vescovo. Fino alla vicenda della 13enne con problemi psichici abusata durante i rituali e delle due ragazze che hanno a loro volta denunciato Barone. Storie che hanno squarciato il velo sugli affari del prete e di chi gli sta intorno. (Mary Liguori – Il Mattino)