POSITANO RICORDA L’AFFONDAMENTO DEL SALEMI, PREMIATI I SOCCORITORI ECCO IL VIDEO
Vi riproponiamo l’ articolo della premiazione del 02 Febbraio 2009, di coloro che parteciparono alle operazioni di soccorso.
Un giorno per la memoria, un premio per la solidarietà in mare. Questo è stato il leit motiv della premiazione che è avvenuta questa mattina a Positano in Costiera Amalfitana (giù il video). Alla presenza del sindaco di Positano Domenico Marrone e delle autorità, dalla Guardia di Finanza, ai Carabinieri, alla locale comando della Capitaneria di Porto di Positano in Costa d’ Amalfi, è intervenuto Vincenzo De Luca, comandante della Capitaneria di Porto di Salerno. Dopo i saluti del sindaco Giuseppe Sabella, autore del libro, “Fra le righe della storia” ha raccontato con dovizia di particolari dell’episodio del 2 febbraio 1943 e ha ricostruito in maniera molto interessante e documentata le fasi storiche di quel periodo di guerra. Successivamente c’è stata una proiezione del video documentario sul sommergibile inglese Safari che affondò la nave italiana Salemi al largo di Positano distruggendo anche gli scogli “Mamma e Figlio” che si stagliavano nei pressi della torre Clavel. E’ stato raccontato il soccorso in mare che avvenne in pochissimi minuti e premiati i sopravvisuti fra coloro che parteciparono alle operazioni di soccorso in mare. Luigi Parlato, Luigi Marrone, Pietro Pane e Francesco Esposito (nella foto) sono fra i sopravvisuti ad essere premiati. A premiarli sono stati il Cv Vincenzo De Luca comandante della Capitaneria di Porto di Salerno, il Luogotenente della Guardia di Finanza Gennaro Gargiolo comandante delle Fiamme gialle di Positano, il Mr.llo dei carabinieri Andrea Manera e il Capo di prima classe Epidio Gioielli comandante del Porto di Positano. Loro efurono anche quelli che nel 1941 posero ai piedi dello scoglio Mamma una effige della Madonna di Positano che avrebbe salvato il paese dai missili. Il bombardamento avvenne dopo le 14 del 2 febbraio 1943 quando i due piroscafi,il Salemi e il Valsavoia,in viaggio verso sud, venivano affondati anche se non colano subito a picco, Il Valsavoia ci mette una mezzora per affondare, Il Salemi aveva schivato il primo missile, che distrusse lo scoglio de La Mamma, ma Il sommergibile Safari capitanato dal comandante Ben Briant che mise al suo attivo decine di affondamenti lo riprese a cannoneggiare fino a bombandarlo. “I positanesi andarono al soccorso e solo otto italiani persero la vita – ricorda Antonio Pane, classe 1928 -, molti di noi ci gettammo con entusiasmo a mare per salvarli e poi facemmo amicizia con loro. Ci fu il coinvolgimento di tutta la popolazione, ma mia madre mi voleva picchiare per la preoccupazione “.
Introduzione storica di Giuseppe Sabella
Il due febbraio 1943 i piroscafi Valsavoia e Salemi, salpati da Napoli alle 11:20,
viaggiavano in ordine di fila alla volta della Sicilia. Dopo aver
doppiato Punta Campanella e giunti in vista del litorale positanese,
verso le 14:40, un improvviso scoppio squassava il lato dritto del
Valsavoia ed un’alta colonna d’acqua si levava minacciosamente
invadendo la sala nautica.
Il suo comandante, il capitano Astarita,
ordinava allora di mettere il timone tutto a sinistra, ma un secondo
scoppio detonava nuovamente a dritta, fra la stiva n.5 e le carbonaie,
distruggendo la trasmissione del timone. La nave, ormai priva di
manovra, sbandando a dritta imbarcava acqua dalla poppa che, presto, fu
allagata fino alla coperta.Si ordinò, dunque,di fermare la macchina e
di calare in mare le due scialuppe rimaste e la zattera di sinistra
sulle quali prese posto l’equipaggio, mentre gli altri, alla meno
peggio, si tuffavano in mare.
Contemporaneamente anche il Salemi accostava a sinistra evitando, così,
un terzo siluro che, esplodendo
sulla costa, distruggeva i due faraglioni che si ergevano a ponente
della spiaggia di Fornillo e battezzati dai pescatori locali ” la
Madre” e “Il Figlio”. Subito dopo il sottomarino britannico Safari
emergeva ed iniziava un intenso cannoneggiamento sul Salemi riducendolo
a colabrodo. Fu un’azione fulminea, quattro minuti e tutto fu
concluso.
Nel frattempo, però, i pescatori positanesi erano già alla
voga in mare per recuperare i naufraghi, mentre ancora l’unità nemica
martellava a cannonate le nostre navi. A terra, invece, tutta la
popolazione, confluita sulla Marina Grande, si apprestava ad
accogliere e rifocillare i naufraghi offrendo loro le più amorevoli
cure.
Questa in sintesi la vicenda sulla quale si articola il tema
della giornata commemorativa indetta, per il due febbraio nella sala
consiliare, dall’Amministrazione Comunale di Positano a celebrazione di
quell’evento nel corso del quale uomini comuni, senza specifiche
attitudini eroiche, non hanno esitato a rischiare la propria vita per
salvare quella di altri in pericolo. Proprio la tempestività del
soccorso ha limitato al massimo i caduti. Benché già da un decennio sia
stata pubblicata una ricostruzione del fatto (“Positano due febbraio
1943 – fra le righe della storia” ESI 1998), nondimeno ci auguriamo
vivamente che questa celebrazione non esaurisca qui la sua efficacia
commemorativa e rappresenti l’utile precedente di una periodica
riflessione sui buoni sentimenti che hanno ispirato allora quei
positanesi, i cui ultimi protagonisti viventi Luigi Parlato, Pietro
Pane, Raffaele Esposito e Luigi Marrone sono stati premiati, sia pure
molto tardivamente, con una targa al merito.
Azzardiamo ora una interpretazione, collocando il “caso” dei due piroscafi nel più
generale contesto storico di quei mesi.Il 23 gennaio, con la caduta di
Tripoli, si concludeva l’epopea africana, anche se le truppe italo –
tedesche resistettero fino a maggio. Oggi si sa che il comandante
britannico Montgomery poteva beneficiare dei servigi offerti da una
centrale informativa situata nella periferia londinese, a Bletchley
Park, definita in codice “Ultra Secret” dove si era messo a punto un
primo esemplare di computer detto Colossus che decifrava le
comunicazioni dell’Asse con una velocità, talvolta, superiore a quella
del diretto destinatario. I Tedeschi, d’altro canto, commisero l’errore
di attribuire un eccessivo grado di fiducia alla
impenetrabilità delle loro comunicazioni, realizzate con la macchina Enigma.
Cosicché, Rommel tempestava il comando germanico reclamando, con insistenza, i
rifornimenti e dal comando, allora, si rispondeva comunicando la
partenza dei convogli italiani, la consistenza del carico e la rotta
seguita.
I convogli, però, venivano puntualmente intercettati ed, in
larga misura, affondati.
Quasi contemporaneamente, a fine novembre del
1942, si consumava il dramma dell’ARMIR, l’Armata Italiana in Russia.
Se alla partenza erano occorse 200 tradotte per portare il corpo d’
armata sul fronte russo, ora ne bastavano 17 per ricondurre in patria i
superstiti che erano malridotti a tal punto, che le autorità
preferirono nasconderli alla vista dei familiari, temendo sollevazioni
popolari.
Ormai gli italiani consideravano il fascismo come l’unico
responsabile della guerra e della palese impreparazione con la quale
era stata affrontata. A Roma tutti, più o meno, presagivano l’imminenza
della catastrofe e, forse, anche al duce non sfuggiva che tra le fila
della grande imprenditoria, dell’amministrazione politica e militare si
avviavano, più o meno autonomamente, consultazioni con gli Alleati.
Ai primi di dicembre del 1942, infatti, il ministro degli Esteri Galeazzo
Ciano fece sapere alla missione britannica di Lisbona che l’
esasperazione del popolo italiano poteva sfociare in sollevazione e
nella successiva deposizione della monarchia. Pertanto, chiedeva quali
garanzie offrissero gli Inglesi nel caso di una pace separata. Come
pure il duca Ajmone d’Aosta fece sapere agli Inglesi di essere pronto a
capeggiare una rivolta della Marina e dei Bersaglieri in cambio della
preservazione della Monarchia. Intanto anche i generali Badoglio
e Caviglia cercarono l’appoggio anglo americano per un colpo di Stato.
Altri candidati alla poltrona del duce pare fossero Caviglia, Grandi e
Ciano.
Dal 2 febbraio anche Adriano Olivetti prende contatto, in
Svizzera, con agenti americani offrendo, con la sua, anche la
collaborazione di altri industriali italiani che, per conservare la
proprietà delle loro imprese, avevano capito che dovevano disfarsi di
Mussolini.
Quando il 5 febbraio il duce decretò la sostituzione di
alcuni ministri come Ciano, Grandi e Bottai cominciò ad evolvere in
concreta cospirazione ciò che fino ad allora era apparsa solo una
inquietante fronda di retroguardia. Sarà Grandi, infatti, a convicere
il Gran Consiglio sulla necessità di esautorare Mussolini e restituire
al Re quelle prerogative che lo statuto gli attribuiva.
In risposta gli Alleati fecero sapere, tramite il Vaticano, che se il re si fosse
disfatto di Mussolini avrebbe avuto un trattamento di favore in sede
armistiziale.
La consapevolezza dello scollamento tra il paese ed il
regime, insieme al pessimismo diffuso
sulle sorti del conflitto,
convinse anche i vertici della polizia politica – dal successore di
Bocchini, Carmine Senise, al capo dell’OVRA Guido Leto, sino a molti
capi zona – dell’opportunità di affrettare la successione del duce, d’
intesa con la monarchia e i vertici delle Forze Armate. Fu così che si
verificò proprio nei primi mesi del 1943, l’apparente paradosso di una
polizia politica cautamente impegnata nella preparazione di un colpo di
palazzo contro un dittatore sempre più inaffidabile ed impopolare.
I prioscafi Salemi e Valsavoia non trasportavano solo cereali,cemento,
paglia e fieno, ma anche documenti segreti che, in un contesto nel
quale il nemico intercettava efficacemente
le comunicazioni dell’Asse,
poteva diventare importante per taluni impedire che giungessero a
destinazione.
Pertanto, l’Ufficio Difesa Traffico, nel più assoluto
segreto, consegnava aicomandanti, fra le altre istruzioni, i seguenti
ordini:
Partirete da Napoli alle ore 11:00 del 2 corrente uscendo dal
passo delle ostruzioni di levante nell’ordine seguente: 1°) P.fo
Valsavoia 2°) P.fo Salemi e navigando sulle rotte di sicurezza vi
porterete al punto B di coordinate: lat.40° 32’ 22’’ long.14° 19’. Da
detto punto seguirete le rotte che vi consegniamo in allegato (in
busta chiusa da aprirsi fuori del porto). Quando condizioni di tempo e
visibilità lo consentano seguirete rotte radenti costiere entro le 3
miglia dalla costa eccetto nel tratto Capo Vaticano Capo Peloro nel
quale dovranno essere seguite strettamente le rotte del traffico
costiero. Navigherete alla velocità di nodi 7.5.
Va precisato, a questo punto, che il 26 gennaio a largo di Napoli il Safari aveva già
attaccato due grosse unità ben scortate dai nostri caccia che
efficacemente le protessero, mettendo in fuga il sottomarino il quale,
quattro giorni dopo, il 30 gennaio, affondò a cannonate, nel golfo di
Policastro, le golette Gemma e Sant’Aniello, ma il due febbraio il
comandante Bryant è nel punto di coordinate 40° 35’ N e 14° 29’ E.
Proprio intorno al punto B.
Perché, allora, sapendo che in zona
“ronzava” una unità nemica, le nostre navi non furono
scortate sin dall’inizio?
Parrebbe quasi che, in così infide acque, i nostri
piroscafi siano stati affondati più che dai siluri del Safari dai
doppi, tripli giochi d’un partito ombra che, trasversalmente, dagli
Stati Uniti tramite il Vaticano ed all’Italia del re, coinvolgendo
ambienti civili e militari avrebbe inteso liberarsi del duce
accelerando la disfatta militare del regime per, così, meglio
rescindere il Patto che ci legava alla Germania nazista, quasi fosse
stato un impegno personale di Mussolini ed in merito al quale i
dissidenti non si erano sentiti, a suo tempo,
consultare. Infatti, dal 12 gennaio 1923 al 12 dicembre 1932 il Gran Consiglio si riunì 139
volte, mentre solo 47 nel decennio successivo.
La penultima riunione, prima del 25 luglio, fu indetta il 7 dicembre 1939 per confermare la
scelta della “non belligeranza”. Nemmeno la dichiarazione di guerra (10
giugno ’40) parve al duce una buona occasione per convocare il Gran
Consiglio.
Segno evidente che l’enfasi personalistica posta da
Mussolini per incarnare, sempre di più, lo
spirito stesso della
rivoluzione fascista, aveva condotto al progressivo distacco da
quanti, come lui, avevano creato e portato il fascismo al potere e che
si erano visti, poi, trattare come meri ratificatori di una volontà che
non contribuivano più a determinare ed in merito alla quale, ora,
dissociavano la loro responsabilità.
Se, tuttavia, in alto loco vi
furono concretamente intelligenze e contatti con il nemico, a livello
più basso, sovente, bastò “profittare” di quelle inefficienze, piccole
e grandi, connaturate alla burocrazia dell’amministrazione italiana e
lasciare, così, che la disastrosa china degli eventi trasformasse il
“sassolino” in una “valanga”.
Del resto anche in Germania si
verificarono fenomeni paralleli.In un colloquio riservato, tenuto poco
dopo il 25 luglio, fral’ammiraglio Canaris ed il suo collega italiano
generale Amé, l’alto ufficiale tedesco commentò che anche per la
Germania ci sarebbe voluto un “25 luglio”. Guarda caso il 20 luglio
dell’anno dopo scoppia sotto il tavolo di Hitler una bomba mentre si
teneva un consiglio di guerra.
Purtroppo per i congiurati, Hitler si
salvò e la repressione fu feroce, obbligando la Germania ad altri nove
mesi di inutili e sanguinose resistenze, tanto che uno degli ufficiali
preposti alla difesa di Aquisgrana nel 1945, il colonnello della
Wehrmacht G. Wilk, dichiarò che i civili, per impedire ulteriori ed
inutili distruzioni, giungevano a rivelare agli Alleati dove i soldati
tedeschi si appostavano.
Come allora, anche oggi quando i comportamenti
istituzionali si allontanano dagli interessi diffusi, il potere
inevitabilmente perde quel consenso sul quale si fonda il rapporto
fiduciario fra cittadini ed amministrazioni pubbliche.
Questa vicenda insegna, dunque, ad analizzare la storia non solo dalla parte di coloro
che impongono le grandi scelte, ma anche da quella di coloro che le
subiscono.
Giuseppe Sabella
sabella.giuseppe@virgilio.it