Grande Progetto Pompei, ok al piano di sviluppo. Sbloccato iter per migliorare servizi e collegamenti con l’area archeologica

Il via libera agli sgoccioli della legislatura, ma comunque non fuori tempo massimo. E’ stato il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini ad annunciare l’adozione da parte del Comitato di Gestione del Grande Progetto Pompei del piano strategico di sviluppo del territorio compreso nella buffer zone del sito Unesco comprendente le aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata. Si tratta di una svolta importante non solo dal punto di vista procedurale, con lo sblocco dei progetti per migliorare i collegamenti e i servizi con l’area archeologica, ma anche dal punto di vista «politico» perché sembra poter favorire l’incontro tra il capitale privato e la progettualità locale su cui poggia, non a caso, la proposta dell’Associazione Naplest et Pompei da tempo in attesa della firma avvenuta ieri. «Il lungo e impegnativo lavoro di concertazione tra il governo centrale e le amministrazioni locali ha portato – ha detto Franceschini – alla condivisione di un documento sul quale si baserà la crescita futura di un’area di straordinario valore culturale e paesaggistico. In questi quattro anni è stata compiuta un’opera notevole sugli scavi di Pompei. Ora si tratta di governare la crescita impetuosa del turismo internazionale per fare di quest’opera un durevole fattore di sviluppo per l’intero territorio». L’iter, sostenuto anche dal ministro per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno, Claudio De Vincenti («E’ stato portato a compimento un lavoro fruttuoso con un’impostazione coerente ed è stato dato mandato al Direttore generale del Grande Progetto Pompei di stipulare il Contratto Integrato di Sviluppo, strumento di governance che consentirà l’attuazione del piano»), inaugura una stagione nuova e interessante per l’area archeologica. Perché, sono sempre parole del ministro, «è un segnale di concretezza per fare in modo che le progettazioni partano e gli interventi abbiano un cronoprogramma con un impiego efficace delle risorse». Il piano strategico approvato anche dal ministero delle Infrastrutture e trasporti, nonché dalla Regione Campania, dai sindaci della Città metropolitana di Napoli e dei Comuni di Boscoreale, Boscotrecase, Castellammare di Stabia, Ercolano, Pompei, Portici, Torre Annunziata, Torre del Greco, Trecase individua come obiettivi di carattere generale il rilancio economico-sociale, la riqualificazione ambientale e urbanistica e il potenziamento dell’attrattività turistica. Gli ambiti specifici degli interventi infrastrutturali, come illustrato dal direttore generale del Grande Progetto Pompei, Mauro Cipolletta, rientrano in quattro linee strategiche: «Miglioramento delle vie di accesso e interconnessione ai siti archeologici, recupero ambientale dei paesaggi degradati e compromessi soprattutto tramite il riuso di aree industriali dismesse, riqualificazione e rigenerazione urbana, promozione e sollecitazioni di erogazioni liberali e sponsorizzazioni anche attraverso la creazione di forme di partenariato tra pubblico e privato». Ed è qui che entra in gioco il masterplan presentato non più tardi di alcuni mesi fa dall’associazione Naplest et Pompei, presieduta dall’imprenditrice Marilù Faraone Mennella (con trenta sigle associate) la cui elaborazione è stata affidata all’archistar di Barcellona Josep Acebillo. Il masterplan, per rinfrescarci la memoria, prevede non solo l’interramento della rete ferroviaria che attraversa in litoranea la zona orientale di Napoli fino a Pompei (l’aspetto progettuale che ha più fatto discutere negli ultimi tempi), ma rilancia anche la capacità progettuale e operativa dei privati. Una disponibilità di capitali, certo, ma sempre nell’ambito di un’azione coordinata con i decisori pubblici, semplificando le procedure operative e dunque abbreviando, almeno in teoria, i tempi di realizzazione di infrastrutture, servizi, spazi turistici attrezzati. Al momento è prematuro capire se tutto o parte del masterplan è stato accolto dal Piano di sviluppo strategico. Di sicuro, però, tutti i sindaci dell’area interessata hanno firmato il protocollo d’intesa con l’Associazione confermando un interesse forte alla proposta in campo. D’altro canto, il fil rouge che lega lo sviluppo dell’area orientale di Napoli all’utilizzo sempre più organico e razionale dei siti archeologici di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata fa parte del dna di Naplest et Pompei. Ovvero espandere le azioni di rigenerazione urbana dalla zona orientale di Napoli ai nove comuni vesuviani della Buffer Zone di Pompei. «Ogni modello di riqualificazione urbana – scrivono i promotori dell’Associazione – non può infatti prescindere da una visione di macro area che comprenda anche la zona vesuviana costiera, tanto più alla luce della costituzione della Città metropolitana di Napoli (terza in Italia per abitanti ma prima per densità abitativa)». Di qui la predisposizione di due masterplan relativi alla zona orientale ed alla buffer zone di Pompei. Il primo, “già predisposto, ha individuato un programma di interventi e di azioni a breve e a medio/lungo termine su un’area di oltre 265 ettari nei quartieri di Poggioreale, Barra, San Giovanni a Teduccio e Ponticelli di cui 90 (circa il 40% del totale) destinati a parco”. Il secondo masterplan “nell’ambito di una visione di area vasta, mette in campo una strategia territoriale di sviluppo urbano, sociale ed economico che coinvolge i nove Comuni, per un’estensione territoriale di 77 Kmq (7.683,85 ettari)”. E’ attraverso questo percorso, interamente concepito e sostenuto dal capitale privato, che il masterplan è entrato in contatto con l’unità Grande Progetto Pompei indicata dal governo come responsabile dell’elaborazione del Piano Strategico approvato ieri dai ministri e dagli enti locali. La partnership tra l’Associazione Naplest et Pompei e l’Unità Grande Progetto Pompei è stata siglata sulla base di un protocollo sottoscritto il 26 settembre 2016. Sembrano, dunque, esserci tutti i presupposti perché il partenariato pubblico-privato diventi quanto prima un tavolo di confronto concreto. L’occasione è decisamente storica perché non esiste al mondo un territorio moderno-industriale, come quello della “Buffer zone” con così tante vestigia storiche e artistiche di elevato valore ma al contempo asfissiato dalla precarietà del contesto, come si legge nell’ampia documentazione acclusa al masterplan. Naturalmente molto dipenderà da una chiarezza preliminare non solo sugli obiettivi da realizzare ma anche sulla governance di questi processi. Sperare che siano largamente condivisi non può dunque essere solo un auspicio ma anche il presupposto tecnico e culturale per andare avanti. E, fuor di dubbio, sembra proprio questa l’incognita maggiore che pesa sulle prospettive di quel tavolo che comunque va fissato e aiutato a crescere perché coniugherebbe in un colpo solo tutte le più importanti caratteristiche di un simile patto: la certezza dei tempi, la sburocratizzazione delle procedure, la garanzia dei capitali. (Nando Santonastaso – Il Mattino)