Sorrento. L’Omelia dell’arcivescovo Alfano e le Foto della Messa Crismale in Cattedrale
Sorrento. Nella Cattedrale intitolata ai Santi Filippo e Giacomo, ieri sera mercoledì 28 marzo, tutta la comunità dell’Arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia si è riunita intorno al suo arcivescovo S.E. Mons. Francesco Alfano e a tutti i sacerdoti della diocesi per vivere uno dei momenti più attesi e importanti di questo periodo pasquale: la Messa Crismale. Un centinaio i sacerdoti hanno concelebrato e che hanno riconfermato le proprie promesse.
L’olio che è stato benedetto e in particolare il Crisma, da cui proviene la denominazione della Messa Crismale, ha ricordato che tutti siamo servi, chiamati dal Signore a una missione che Lui stesso ci affida unendoci a Sé e trasformandoci in realtà nuova. Il Suo amore, il Suo sostegno, la Sua esistenza, è il segreto della nostra esistenza, il senso della vita di ogni persona, il fondamento della storia dell’umanità di ogni tempo, la ragione che consente di continuare a sperare nonostante tutto.
Qui in seguito l’omelia di mons. Alfano per intero:
Cari amici,
torniamo volentieri anche noi nella sinagoga di Nazaret in occasione di questa solenne celebrazione che ogni anno, in prossimità della Pasqua, vede radunata la nostra e ogni altra Chiesa particolare attorno all’unico Pastore, Cristo Gesù: è Lui che amiamo, è Lui che ascoltiamo e seguiamo, è per Lui che riceviamo dal Padre l’unzione dello Spirito. Siamo dunque la sua comunità, il popolo sacerdotale: tutti consacrati per la missione.
Sì, ci raduniamo con la gioia nel cuore e portiamo al Signore con intima trepidazione i dolori e le speranze di ogni uomo e di ogni donna che formano con noi la famiglia dei figli di Dio, in particolare i più deboli, gli emarginati, i sofferenti, le persone sole e abbandonate, i disperati, gli immigrati e i profughi, insomma tutti i poveri e i più poveri tra i poveri. Con essi, senza escludere nessuno, ci mettiamo in ascolto della sua Parola, consapevoli dell’urgenza di essere plasmati dal Maestro, illuminati dal suo insegnamento, confortati e rafforzati per il servizio assai delicato che ci è stato affidato.
Il Signore dunque ci parla, ci spiega le Scritture. Ma come accadde quel giorno nel suo villaggio per quei paesani che pensavano già di conoscerlo bene, così avviene ancora una volta anche per noi oggi: quanto Egli dice ci sorprende. Ci trova spiazzati. Forse persino impreparati. Tutti, in verità, avvertiamo il bisogno di un cambiamento nella nostra vita e nelle nostre comunità, per poter essere testimoni credibili, annunciatori gioiosi, servi umili e generosi. Vorremmo crescere come suoi discepoli, mettendoci alla scuola del Vangelo e accettando ogni sua proposta, anche quelle più impegnative ed esigenti.
Ma senza la radicalità della sequela, coniugata giorno per giorno con la fedeltà a Dio e al prossimo, non potremo mai trasformarci in collaboratori della gioia offerta dal Padre a ciascuno dei suoi figli. Gesù quel giorno non si accontentò di leggere e commentare il testo profetico. Fu per tutti una vera e propria rivelazione, come poi sarà per ogni suo gesto e ogni sua parola. Mostrò ai suoi ascoltatori il vero volto di Dio, che non solo si china sui figli piagati e oppressi e neppure si limita a promettere loro per un futuro lontano un tempo di pienezza, una vita buona e bella.
Egli è l’inviato del Padre, mandato “oggi” a dare compimento alla Scrittura. Siamo posti così anche noi dinanzi a un vero e proprio capovolgimento di prospettiva: non dobbiamo più solo attendere ma accogliere il dono, non possiamo rimandare a un domani che ignoriamo ma ci viene chiesto ora di scegliere, tantomeno ci è più consentito di illuderci che questo mondo lo cambieremo noi con i nostri sforzi e con le nostre organizzazioni. È dono assolutamente gratuito di Dio! E noi qui riuniti siamo disposti a prenderlo sul serio, con una adesione piena e incondizionata?
La missione riguarda tutta la Chiesa e in modo particolare noi, amatissimi confratelli nel ministero ordinato. Abbiamo ricevuto un compito particolarmente gravoso, che ci ha così entusiasmati da consegnare l’intera nostra esistenza, intelligenza e volontà, a Colui che ci ha chiamati. Il Popolo di Dio, lo sappiamo bene, è esigente nei nostri confronti e si aspetta molto da noi.
Ci vuole vicini, partecipi delle proprie gioie e ancor più delle troppe sofferenze che deve sopportare. Si aspetta da ognuno di noi non tanto particolari capacità o talenti, che pure non mancano nel nostro numeroso e variegato collegio presbiterale. Richiede, anzi spesso esige l’unità tra di noi, la fraternità, la concordia e la stima reciproca. Si aspetta che ci vogliamo veramente bene l’un l’altro.
Resta edificato quando ci presentiamo non rivestiti di un potere sacro che ci tiene separati dalla comunità, ma come semplici fratelli chiamati ad essere soltanto servi, pronti ogni volta a cingerci il grembiule ai fianchi per abbassarci fino ai piedi di ognuno: dalla semplicità imbarazzante del gesto rituale con cui entriamo ogni anno nel Triduo Pasquale alla vita di ogni giorno, non solo per alcuni prescelti ma per tutti, specialmente per quelli che creano più difficoltà o mettono maggiormente a disagio.
Possiamo allora affermare che la prima nota distintiva della missione è la sua universalità: inviati a tutti, dobbiamo accompagnare il cammino di crescita della Chiesa in cui siamo posti come ministri dell’unità e della comunione, affinché tutta la comunità ecclesiale si prenda cura di ogni persona e delle sue necessità.
Il cuore di un prete deve essere sempre aperto e attento a chiunque: dai confratelli alla comunità, dalla gente che avvicina nel ministero all’intera famiglia diocesana fino a ogni persona che vive o transita per il nostro territorio così noto e apprezzato per l’incanto delle sue bellezze naturali.
Carissimi amici presbiteri, noi per primi siamo amati da Cristo: condividiamo dunque il suo amore con tutti. La nostra stessa vita sia un segno sempre più trasparente di quella predilezione per ognuno dei suoi fratelli che ha spinto il nostro Maestro e Signore ad amarci facendosi nostro servo, senza riserve, “fino alla fine”!
Ed ecco allora un’altra nota caratteristica della missione della Chiesa, che innanzitutto noi pastori siamo chiamati ad assumere come stile di vita: il coraggio. Non ci viene certo chiesto di essere eroi né di compiere azioni eclatanti, che vanno al di là dell’ordinario o che superano le nostre forze: questo no.
Ma neppure possiamo accontentarci dell’esistente, di quella mediocrità che tutto appiattisce e rende banale. È il coraggio dei profeti, che sanno guardare avanti senza perdere mai la speranza. È il coraggio di chi prosegue il cammino anche nel buio, perché illuminato dalla Luce vera e sostenuto dalla compagnia della comunità credente.
Essere preti che non hanno paura di sporcarsi le mani, di compromettersi personalmente, di aprire vie nuove che non percorrono però mai da soli, di stare dalla parte dei perdenti e di credere ostinatamente che un mondo più giusto è possibile: il Signore nella sua bontà ci ha scelti per questo, perché con la nostra vita unita alla sua possiamo annunciare a tutti che “il regno di Dio è in mezzo a noi”!
Vorrei sottolineare ancora un aspetto essenziale della missione, reso più evidente dal contesto culturale e sociale in cui ci troviamo ad agire. Mi riferisco alla necessità di porre sempre al centro della nostra azione ecclesiale l’uomo, tutto l’uomo. Corriamo infatti il rischio di dimenticare, carissimi confratelli, che “l’uomo vivente è la gloria di Dio” e che non c’è altra via da percorrere per arrivare a Lui.
Non saranno pertanto sufficienti i nostri progetti pastorali per aprire al Vangelo quanti ne sono lontani. Neppure basterà rivedere lo stile delle nostre comunità cristiane e riformare le istituzioni ecclesiastiche, tutte più che mai bisognose di maggiore coerenza e di più “sapore” evangelico. Ciò che potrà offrire segni convincenti e soprattutto attraenti, in un mondo sempre più virtuale che rischia di dimenticare la bellezza e la verità del rapporto diretto tra le persone, è la nostra attenzione a ogni persona che incontriamo.
Solo così contribuiremo all’edificazione della casa di Dio, se saremo disposti a dare il meglio di noi stessi per ognuno dei nostri fratelli e sorelle per i quali Gesù è morto. Amare come Cristo ha amato, fino al perdono: atto umanamente paradossale ma reso a noi possibile da quell’amore che ci ha trasformati in suo sacramento, secondo quel comando che ogni giorno ci fa ripetere con lui: “Fate questo in memoria di me”!
Nella piccola sinagoga di Nazaret quel giorno tutti guardavano a lui, in attesa di una sua parola. Anche noi stasera, come assemblea liturgica convocata prima della Pasqua a rappresentare l’intera famiglia diocesana, siamo tutti in ascolto della sua Parola. Tutti, nessuno escluso, seduti attorno alla sua mensa. Ciascuno di noi con la sua sensibilità e la sua storia.
I religiosi e le religiose con il loro carisma, perché risplenda la fiamma che li alimenta nel servizio che rendono alla Chiesa e alla società: siate testimoni gioiosi e anticipatori audaci di quel mondo nuovo che siete chiamati a ricordarci ogni giorno con la vostra scelta radicale per il Regno. Le comunità parrocchiali, qui rappresentate da alcuni membri e desiderose di rinnovarsi nello spirito del Vangelo: aprite con fiducia le porte a tutti, siate segno umile e forte della vicinanza del Padre a ognuno dei suoi figli.
Le associazioni e i movimenti, impegnati a tradurre gli ideali alti suscitati dallo Spirito in scelte coerenti per fermentare, come lievito nella pasta, l’ambiente che ci circonda: andate con gioia ad annunciare la Buona Novella in ogni ambiente, dal mondo del lavoro a quello della scuola, della cultura e dell’arte, dell’economia e della politica. Per tutti oggi risuona, sorprendente e nuova, la Parola del profeta che Gesù ci consegna: “Lo Spirito del Signore è sopra di me”!
Permettetemi, infine, di rivolgermi in modo speciale ai giovani. Il cammino verso il Sinodo dei vescovi sui giovani convocato da papa Francesco per il prossimo autunno è iniziato da tempo e ha coinvolto tutte le Chiese, anche la nostra. Carissimi giovani, ci siamo messi anche noi, non senza qualche fatica e incertezza, in vostro ascolto. E le sorprese non sono state poche.
Nessuna retorica ci è consentita con voi, nessun discorso demagogico. La Chiesa tradirebbe la sua missione se si lasciasse vincere dalla tentazione di guardarvi da lontano. Ci è chiesto invece di starvi accanto, di sapervi ascoltare, di farci vostri compagni di viaggio e di considerarvi veramente amici, come Gesù chiama tutti i suoi discepoli. Quanto portate nel cuore è molto più di ciò che noi adulti riusciamo a cogliere nelle vostre parole e nelle vostre azioni. Non privateci della vostra ricchezza, anche quando stride con le nostre abitudini. Aiutateci a sognare e a costruire con voi un mondo più bello e più giusto, che pone al centro la solidarietà, la fraternità, l’amore vero. Insieme a voi vogliamo metterci alla scuola dell’unico Maestro, che ci chiama a seguirlo sulla via della croce ammonendo quelli che vogliono prevalere o dominare: “tra voi però non è così”!
Da Nazaret a Gerusalemme, dove nel cenacolo i discepoli attendono che si compia la promessa del Risorto con l’invio dello Spirito: ecco tracciato il nostro itinerario missionario, per una faticosa ma urgente conversione pastorale. Rinasce la speranza. Un senso di timore profondo ci fa sentire che non siamo soli e perciò possiamo aprirci con grande fiducia gli uni agli altri. Siamo pronti a riprendere il cammino per annunciare a tutti le meraviglie del suo amore. Facciamo nostra ancora una volta la sua Parola, che con fedeltà accogliamo come condizione necessaria per essere trasformati dallo Spirito in discepoli-missionari:
“… Ma voi restate in città”.
AMEN!
Altre info: www.diocesisorrentocmare.it