Fujenti per grazia ricevuta, volti e storie nel Santuario della Madonna dell’Arco. Bambini protagonisti del culto
La lunga giornata dei fujenti comincia prima dell’alba. Il tempietto della Madonna dell’Arco è lustro, la chiesa sgombra e presidiata in ogni angolo, pronta perché si rinnovi quel rito del grande pellegrinaggio che va avanti da 568 anni. La folla preme al portone monumentale già dalle due di notte, l’apertura è prevista soltanto un’ora dopo e già le squadre di «battenti» in arrivo da tutta la Campania e oltre sono moltissime, in attesa. Un quarto d’ora di ritardo, per consentire la «bonifica» del Santuario, una delle misure antiterrorismo disposte dall’anno scorso, e padre Alessio Romano – rettore del convento domenicano – accoglie la prima squadra, in arrivo da Napoli, con due sole parole: «Viva Maria». Da quell’istante, il delirio. Già dalla notte sono tantissimi i bambini che accompagnano i devoti delle associazioni dedicate a Maria. Arrivano da Aversa, Sant’Antimo, Casoria, Giugliano, Ercolano, Pomigliano, Brusciano, Nola, dai quartieri napoletani di Fuorigrotta, Barra, Ponticelli. Piccoli battenti vestiti di bianco, alcuni imbracciano labari e bandiere più alti e pesanti di loro, altri sono infreddoliti, stretti al petto dei genitori che strisciano in ginocchio verso l’altare. Ma ce n’è uno in particolare in arrivo da Nola che ha appena 12 anni e frequenta la seconda media. Si è ammalato qualche anno fa, un carcinoma al cervello che gli è già costato due difficili operazioni. Interventi difficili dai postumi invalidanti che non gli consentono di stare molto in piedi e di camminare bene. Padre Alessio lo conosce bene, lui e i suoi genitori sono già stati dinanzi all’immagine della Vergine altre volte. Ieri quel ragazzino ha voluto mettersi in fila con gli altri, fuori dalle porte del tempio, resistendo e stringendo i denti, pensando forse che se avesse chiesto di entrare prima, senza far la fila, la grazia non avrebbe avuto la stessa forza, lo stesso valore. «Ore ed ore in attesa – racconta il rettore domenicano – stringendo i denti per non cadere, ad un certo punto sono andato io a dirgli che la Madonna avrebbe ascoltato comunque le sue preghiere, ma non c’è stato verso. Ha accettato di entrare in chiesa saltando un po’ di fila ma poi ha voluto aspettare la mamma». Sono centinaia i bambini, altrettante le donne in gravidanza che avanzano a fatica verso l’altare, piangendo, urlando alla Mamma dell’Arco le loro richieste o ringraziandola. Alba ha 36 anni, arriva da un paesino del nolano, e striscia in ginocchio fino al tempietto mormorando un «grazie» sommesso per quel bambino in arrivo che cercava da tempo. Fuori dal Santuario, a più riprese, gli uomini delle forze dell’ordine si trovano a dover sedare tensioni che rischiano di degenerare in risse tra squadre, a calmare fujenti che dopo mesi di lavoro per costruire toselli enormi, colorati e monumentali nonché costosissimi, vorrebbero portarli fino all’icona della Vergine. Ma non si può, il rettore ha vietato espressamente che nel luogo sacro entrino carri e pure bande musicali. Così, quando le squadre di Fuorigrotta e Barra iniziano a sfilare nella navata centrale avvicinandosi all’altare, l’unica musica consentita è la voce – e c’è chi infatti intona un canto diretto alla Madonna – mentre gli altri tengono in mano gli strumenti, ma qualcuno non resiste e così giunto a destinazione riesce a dare colpi di tamburo per accompagnare il corteo. Sulle bandiere dai colori sgargianti – da molti anni si è intanto perduta l’usanza di decorarle con banconote – solo il nome dell’associazione e il paese di arrivo ma la creatività popolare non si perde d’animo e così sfilano labari con immagini sacre sovrastate da quelle di defunti papà, fratelli, mamme, sorelle dei battenti. Ci sono per esempio le bandiere in ricordo di Anna Oppolo, spentasi poche settimane fa, appena 15enne, in un letto del Santobono di Napoli dove era ricoverata in terapia intensiva. Lei, napoletana, frequentava spesso il Santuario e sarebbe tornata quest’anno se il male incurabile non l’avesse strappata giovanissima alla vita. Decine e decine di fujenti crollano sul pavimento in prezioso marmo della chiesa in preda a convulsioni, subito soccorsi dai volontari. Altri sembrano fuori di sé. Una donna, in abiti bianchi e blu di una associazione napoletana di devoti, prima di crollare al suolo riesce a levare alta la voce rivolta alla Vergine: «Ti devo ringraziare per una cosa, ma non dovevi togliermi il mio compagno, non dovevi». Poi si accascia, sfinita. Un culto unico, studiato dagli antropologi e che non ha eguali nel mondo, una fede popolare studiata dagli antropologi che culmina ogni anno nell’evento del Lunedì dell’Angelo. Dal quindicesimo secolo, da quando un giocatore di pallamaglio sfortunato imprecò e colpì il quadro della Vergine che iniziò a sanguinare. Da quando, un secolo più tardi ancora, ad Aurelia del Prete – una donna che aveva osato maledire la sacra immagine – caddero i piedi staccandosi di netto, senza una goccia di sangue. Sono ancora in Santuario, esposti in una gabbietta. Da allora molti prodigi si sono ripetuti e in prodigi, miracoli, grazie, spera il popolo di fujenti che indossa i colori della Madonna: bianco, rosso, blu. In chiesa, fin da domenica, anche fotoreporter stranieri in arrivo da Germania, Svizzera, Francia. (Daniela Spadaro – Il Mattino)