Lo sguardo è spento: e nei riquadri della memoria, mentre il sipario sta per calare, ci sono trentasei domeniche che Maurizio Sarri attraversa, una per una, per tentare di farsene una ragione, razionale e anche logica, e darsi le risposte, ma le più convincenti. «Abbiamo fatto qualcosa di straordinario, però se spezzetti il campionato e vai alla trentacinquesima, ti accorgi che, togliendo le differenze di orario, dal 43′ di Inter-Juventus al 5′ di Fiorentina-Napoli, siamo passati dal possibile sorpasso alla consegna dello scudetto. E comunque, io preferisco giocar bene». C’è un anno rinchiuso in quel fotogramma: e li chiamerete rimpianti o analisi o radiografie, però è un tormento che resta, un interrogativo che rimarrà inevaso, e concederà al Napoli solo la soddisfazione d’essere stato protagonista: «Perché noi a Firenze ci siamo andati con la morte nel cuore e l’espulsione di Koulibaly ha poi reso quella montagna impossibile da scalare. Quando perdi devi stare zitto, ma il contraccolpo psicologico c’è stato, ora non lo posso nascondere. Ma se avessi vinto, due o tre cose le avrei raccontate».
LUI E DELA. Il resto è cronaca d’un evento da annunciare, è un contratto che resta lì, appeso ad una scelta di vita che Sarri dovrà comunicare a De Laurentiis, nel trambusto emozionale di questo finale di stagione in cui il contraddittorio, come in passato, è divenuto vibrante: «Ho letto le dichiarazioni del presidente e mi spiace che non sia contento. Io non commento ciò che ha detto a proposito del turn-over, e poi alle sue esternazioni sono abituato: semmai mi spiace per Spalletti che non lo conosce e ci è finito dentro e può esserci rimasto male. Quanto alle mie scelte, sono state tutte improntate per cercare di regalare il sogno più ambito a questa città, e le ho fatte chiaramente in buona fede. Ma io gli sono grato perché mi ha regalato la gioia più grande, facendomi allenare la squadra per cui tifavo da bambino». E’ un approccio riflessivo, pacato, quasi solenne, e sono frasi nelle quali si può andare a leggere, secondo personali punti di vista: è un dialogo a distanza che rimane morbido, fino ad una battuta che ha il sapore ironico della stoccata («se De Laurentiis non è contento di me, può sempre esercitare il diritto che gli concede la clausola, di non rinnovare»), però sostanzialmente Sarri resta un uomo in conflitto interiore con se stesso: «Quello che ho visto oggi, non si può vedere da nessun’altra parte. Questo è un popolo che ti dà soddisfazione, che ti trasmette la gioia di vivere il calcio. Napoli ti dà amore e questo è il posto più bello al mondo per vincere». Ma c’è un tempo ancora per decidere cosa sarà di lui, del suo destino, del suo futuro, del quale vorrebbero appropriarsi il Chelsea o il Borussia Dortmund, il Monaco o lo Zenit: «Ciò che mi ha fatto provare questa gente, inciderà pesantemente, come è accaduto l’anno scorso e in maniera positiva, dopo la sconfitta di Madrid con il Real. Ma se dipendesse solo da questo, resterei a vita e se mi cacciassero farei un attentato. Però non posso deludere, devo capire».
L’ECO DI MAZZARRI. Meno ventiquattro, a partire da oggi, perché chi vorrà Sarri, pagando otto milioni, avrà la possibilità di farlo entro il 31 maggio, non oltre: e mentre l’eco delle dichiarazioni di Mazzarri a Kiss Kiss («cosa volete che dica su certi argomenti! Andate a risentire la mia conferenza stampa dopo Pechino»), nell’aria resta quel vago senso di incertezza intorno alla panchina. Resta o parte, Sarri? «Il campionato finisce il venti maggio, mi sembra che poi undici giorni siano sufficienti per incontrarsi, parlarsi, decidere». E’ un labirinto, per ora, la coscienza di Sarri.