Costiera Amalfitana, vicenda droga. Criscuolo “DURO COLPO IN COSTIERA, CHE CHIAMA IN CAUSA TUTTI.”

17 giugno 2018 | 12:39
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Costiera Amalfitana, vicenda droga. Criscuolo “DURO COLPO IN COSTIERA, CHE CHIAMA IN CAUSA TUTTI.”

Costiera Amalfitana sulla vicenda droga e le ultime inchieste che vedono coinvolti decine di giovani della Costa d’ Amalfi , più che criminalizzare loro, la nostra intenzione è alzare i riflettori su questo fenomeno e vorremmo aprirne una discussione . Apprezzabile davvero l’intervento qualificatissimo del professor Francesco Criscuolo ex Preside del Liceo e anche assessore della ex Comunità Montana Monti Lattari . Conoscitore quindi dei giovani e del territori. Criscuolo spezza il silenzio su questa vicenda, ancora nessun sindaco o associazione ha fatto  i complimenti all’Arma e alla Procura di Salerno per le indagini , ma neanche  una riflessione.

DURO COLPO IN COSTIERA, CHE CHIAMA IN CAUSA TUTTI.

È durata lo spazio di un mattino l’eco del clamore suscitato dall’operazione “Rewind”.

La notizia del correlativo arresto, all’alba del 04 giugno u.s., di più di quaranta giovani implicati nel traffico di sostanze stupefacenti tra Maiori, Minori, Amalfi e Ravello, dopo l’immediatezza del traumatico impatto iniziale e le prime impressioni di sorpresa mista ad incredulità, è stata, a poche ore dalla sua divulgazione, quasi completamente ignorata e sommersa da una coltre di silenzio tanto più assordante quanto più generalizzato.

La volontà di lasciarsi tutto alle spalle è davvero sconcertante, se si pensa che già due anni fa’ fu messa in atto un’ analoga retata di grosse proporzioni, denominata, per una drammatica ironia della sorte, “Isola felice”.

Due operazioni repressive di ampia portata, poste in essere a una distanza di tempo alquanto ravvicinata, inducono a riflettere sulla crescita e sull’entità allarmante di fenomeni non circoscritti di devianza.

Si tratta di un dramma collettivo, di cui ogni cittadino del comprensorio amalfitano dovrebbe sentirsi parte. Il coinvolgimento di una quota rilevante di persone, che hanno appena superato la fase dell’adolescenza, ha l’effetto di un pesante pugno nello stomaco e non può non essere la spia di un grave deficit strutturale, che colpisce inesorabilmente il pianeta giovanile in un territorio ristretto e a torto ritenuto a misura d’uomo.

È di intuitiva evidenza che si va ampliando una fascia di vulnerabilità con situazioni alquanto diffuse di fragilità, cui si risponde con un atteggiamento di passività e di noncuranza, aggirando qualsiasi fremito di indignazione e rifuggendo da ogni efficace azione di contrasto.

Non una reazione emotiva, non una parola chiara sul punto, non una presa di posizione, non un intervento equilibrato e razionale da parte di chi ne ha al potere – dovere, al fine di porre un argine contro il dilagare di una piaga che rappresenta un tarlo corrosivo dell’integrità fisica e della formazione morale degli adolescenti.

Sembra che, da un lato, si voglia affidare alle sole forze di polizia la repressione di emergenze ambientali travalicanti le stesse fattispecie di reato ad esse connesse e, dall’altro, si trovi comodo alzare bandiera bianca di fronte a fatti sicuramente inquietanti.

Non solo non ci si attiva per diffondere nell’ opinione pubblica una consapevolezza riguardo a tanti stili di vita autodistruttivi, ma a dominare la scena, in ambito pubblico e privato, sono l’afasia, l’apatia, l’abulia.

A fronte di quelle che Z.Bauman definisce “le nuove povertà” si preferisce tacere, nel timore di urtare suscettibilità, di provocare malumori, di guastare più o meno consolidati e fallaci equilibri, fondati sulla filosofia spicciola del quieto vivere. Viene, così, superata a poco alla volta qualsiasi linea di confine e la stessa distinzione tra giusto e ingiusto, lecito e illecito finisce per perdere senso.

Anche le voci provenienti dalle tradizionali agenzie educative quali famiglia, scuola, parrocchia, purtroppo sempre meno incisive, non solo non vengono percepite nella loro entità di bussola di orientamento, ma restano soffocate da un ostinato soggettivismo, dimentico delle regole di una convivenza civile sana e aperta alle istanze del vero, del bene e del bello.

Nella prolungata assenza di dichiarazioni esplicite e di indicazioni forti, è venuto meno anche quel meccanismo di controllo sociale, che, depurato dalle intrinseche venature di conformismo e appiattimento, rappresentava fino a qualche decennio fa un’ indiretta griglia di maturazione sociale e affettiva, fungendo da freno per tendenze e abitudini malsane.

Dalle espressioni e dai pensieri afoni è facile passare alla mancanza di slancio, che determina opacità di sentimenti, chiusura, egoismo, insensibilità. Regna sovrana, anche nei nostri piccoli paesi, l’indifferenza verso tutto ciò che non ci tocca da vicino, quella indifferenza che ben a ragione A. Cechov ha definito “la paralisi dell’anima”. Molti ritengono che, come è meglio non dire cosa si pensi per paura di una presumibile reazione più o meno volgare della piazza, così è opportuno non muovere un dito contro ciò che può incrinare il normale andamento della vita quotidiana. Il sopravvenire del “pensiero debole” ha contagiato più di quanto si possa pensare la nostra gente, svuotandola di idee e di passioni e collocandola nella sfera di un apatico ristagno “sì ch’è la muffa dove era la gromma” (Par. XII,114).

Ne deriva una manifestazione di volontà altrettanto debole, in rapporto alla quale si instaura il convincimento che i problemi si possano risolvere fingendo di non vederli. Si evita qualsiasi sforzo nell’affrontare situazioni men che spigolose e, magari, ci si rifiuta financo di spostare un sasso, al pensiero che ne possano uscire dei vermi. Pubblici amministratori, persone impegnate in esperienze associative di tipo ecclesiale, culturale, sportivo, esponenti del mondo della cultura e delle professioni, operatori economici mostrano di aver mollato la presa o, comunque, astenendosi da iniziative dirompenti che possano fare breccia nelle leve giovanili, lasciano intendere di non voler allargare gli orizzonti al di là dell’operatività professionale e finiscono, così, per assomigliare a “colui che mostra sé più negligente/che se pigrizia fosse sua serocchia”(Purg. IV, 110 – 111).

Eppure, mai come in questo tempo di storytelling e di post – verità, si ha bisogno di chi possa lanciare segnali incoraggianti e valori duraturi. Nella costiera amalfitana non sono mancate, in passato, personalità eminenti, che hanno dato un’anima all’immaginario collettivo e alla realtà di ogni giorno. Sul loro esempio, la nostra gente non può fare strame della parte migliore di sé e delle proprie tradizioni.

Si può mutare direzione, senza indulgere al pessimismo e alla rassegnazione. Il tempo della ricostruzione, si sa, è un tempo lungo, ma in esso si deve inscrivere una progettualità capace di suscitare nei giovani adesione, entusiasmo, consenso autentico, senso di appartenenza e di abbattere i moderni idoli della sessualità incontrollata, della rincorsa del successo a tutti i costi, della cupidigia del denaro e del potere, che vengono alimentati e amplificati a dismisura dai mass-media.

Occorre una rivoluzione educativa, che parta dal basso e coinvolga autorità pubbliche e singoli cittadini, perché nessuno può chiamarsi fuori dalla responsabilità e dalla necessità di interessarsi di tutto ciò che agita l’universo giovanile. Occorre, altresì, provocare spazi di riflessione e di approfondimento perché si comprenda che il vulnus di una sola persona genera, come tra le membra dell’ organismo umano, il malessere di tutta la comunità.

In particolare, nell’ambiente ecclesiale deve diventare necessaria e generale la convinzione che il Vangelo non si declina nel chiuso delle pareti di una sacrestia, ma sulle strade dell’umana quotidianità.

Il Vescovo Tonino Bello ha fatto osservare che esiste il buon samaritano del giorno giusto, in cui si interviene per soccorrere il ferito, esiste il samaritano del giorno dopo, che estrae due denari per darli all’albergatore (cfr Lc. 10,35), ma esiste anche il samaritano del giorno prima, cioè quello che si preoccupa di metter in atto progetti adeguati e percorsi ottimali, tesi ad evitare difficoltà e disagi fino alla tragedia.

Per tutti si impone il dovere di una coraggiosa chiarezza nel parlare e nell’agire. M. L. King ha scritto: “Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio si alzò, andò ad aprire e vide che non c’era nessuno”.

Davanti a noi non c’è una navigazione tranquilla e rassicurante, ma una visione, anzi una missione impegnativa, rispetto alla quale nessuno può restare neutrale o indifferente.

Minori 16/06/18

Francesco Criscuolo