C’era una volta il calciomercato
Ogni club ha contribuito a scrivere la storia del calciomercato, ovviamente. Fra tutti, ci piace portare in primo piano quello partenopeo, che nel suo piccolo ha spesso recitato la parte del leone. Di Jeppson abbiamo detto in precedenza: fu l’affare che per primo superò quota 100 milioni (nel 1952…). Altro episodio, datato 1967: Inter e Milan si contendono le prestazioni del venticinquenne portiere del Mantova, Dino Zoff. Moratti e Carraro combattono una guerra diplomatica e finanziaria che tiene banco nei saloni del Gallia. Arriva la mezzanotte dell’ultimo giorno di mercato: Zoff non va né all’Inter né al Milan. I giornalisti cercano di capire per quale motivo il club virgiliano abbia rifiutato un’offerta così cospicua, ma alle 00.05 tutto si chiarisce: lo staff del Napoli annuncia di aver depositato il contratto che veste d’azzurro il portierone. Già, ma il termine è scaduto… Non per il Napoli, che aveva un suo incaricato all’interno dell’ufficio della Lega che deposita il plico quando si… smaltisce la fila. Simm’e Napule, paisà. Come? Siamo a Milano? Tutto il mondo è paese…
Cambio di scena. Siamo nel 1975. I “pezzi forti” del mercato sono due centravanti, Roberto Pruzzo e Beppe Savoldi. Per il primo, il Genoa stabilisce che non è in vendita. Il Bologna, invece, per volere del presidente Luciano Conti (che all’epoca è pure editore del Guerin Sportivo), decide che la cessione di Beppe-gol è necessaria per risanare il bilancio. Ma attenzione: Giampiero Boniperti ha chiesto al collega rossoblù (a cui è legato da amicizia e rapporti d’affari) di non rinforzare Inter e Milan, così il parco degli acquirenti si riduce drasticamente. Si fa sotto il Napoli: Ferlaino vuole accorciare il gap che lo separa dagli squadroni del Nord e Savoldi fa al caso suo. Per ottenerlo, fa cadere un’altra frontiera, quella del miliardo: per una valutazione di quasi due miliardi (1.400 milioni in contanti, più Clerici e la comproprietà di Rampanti), Beppe si trasferisce all’ombra del Vesuvio. Infine, è ancora il Napoli ad abbattere un altro dogma: fare il passo secondo la gamba. È il 1984, i sogni di gloria di Ferlaino sono rimasti tali, ma gli si prospetta l’occasione per concretizzarli. Dopo un biennio più agro che dolce, il Barcellona vuole cedere Diego Armando Maradona. Per ottenerlo, servono quasi quattordici miliardi di lire: che il Napoli non ha. Totonno Juliano, bandiera partenopea passata nel frattempo dall’altra parte della scrivania, intavola comunque la trattativa. E, da buon napoletano, supera la concorrenza di ricchissimi club di tutto il mondo: Maradona è del Napoli, i soldi (provenienti da dove? Boh) verranno versati successivamente. Così, il 5 luglio 1984, Diego riempie per la prima volta il San Paolo: 80.000 spettatori a salutare quello che diventerà un idolo imperituro dell’intera città.
# Onnipotenza (delirio di)
Quando tutto ti riesce con facilità, e magari tutto ti è permesso, il rischio è quello di credersi onnipotenti. È quanto è successo a Luciano Moggi, per anni burattinaio indiscusso del calcio (e del calciomercato) italiano. Lucky Luciano (Luciano Il Fortunato) approda al pallone per pura passione. Prova anche a giocarci, a calcio, ma con risultati disastrosi, così capisce che la passione va alimentata dietro una scrivania. Lavora per le Ferrovie dello Stato, poi nei fine settimana viaggia tutta Italia alla ricerca di giovani talenti. È uno tosto, Lucianone, e non si ferma davanti agli ostacoli: questa sua sfrontatezza piace a Italo Allodi, general manager della Juventus, che lo arruola fra gli osservatori dando così il via a una folgorante carriera che lo porterà ad avere ruoli ufficiali negli organigrammi di Roma, Lazio, Torino, Napoli e Juventus. Abbiamo specificato “ruoli ufficiali” perché in realtà Moggi gestisce contemporaneamente il mercato di tantissimi club. A un certo punto, diciamo la metà degli Anni Ottanta, ha in mano i destini di metà Serie A, due terzi di B, la maggioranza assoluta del Girone A della C1 e l’intero Girone B, senza contare il mondo dilettantistico che pende in larga parte dalle sue labbra. Moggi muove calciatori, direttori sportivi e allenatori sotto gli occhi di tutti: non “ufficialmente”, perché l’ipocrisia della forma viene salvaguardata, però tutti – ufficiosamente – sanno tutto e nessuno interviene.
Arriva la Legge Bosman, anche il mercato del calcio diventa globale, i procuratori proliferano come funghi e si arricchiscono facilmente: Luciano comprende la vastità della “nuova frontiera” e… chiude il cerchio, aiutando il figlio Alessandro ad allestire la potentissima Gea, che in breve – ça va sans dire – monopolizza il mercato dei procuratori. Ricapitolando: Moggi si trova nella situazione di trattare… con se stesso il passaggio di un calciatore da un club all’altro, dopodiché concorda (sempre, in pratica, con se medesimo) l’importo del contratto che l’atleta sottoscriverà. Siamo in Italia, ancora oggi il Parlamento fa finta di discutere sul cosiddetto conflitto di interessi, figuriamoci se il calcio corre ai ripari. Tutto continua a funzionare in quella maniera, poi – all’alba del 2006 – il delirio di onnipotenza va in conflitto con interessi altrettanto importanti e scoppia il bubbone, che viene riassunto con il nome di Moggiopoli. Si mettono in discussione scudetti, promozioni, retrocessioni, trasferimenti. Sbatti il mostro in prima pagina non è più solo il titolo di uno splendido film di Marco Bellocchio: è anche il motivetto in voga nelle redazioni di giornali e tivù e in quegli uffici in cui Moggi si è sempre mosso da padrone e che dopo lo scoppio dello scandalo fanno a gara per rinnegarlo. Dall’aula sportiva a quella dei tribunali, il conto che viene presentato a Lucky Luciano è salatissimo. Limitandoci all’ambito sportivo, Moggi è radiato dalla Federcalcio. Lui, per gradire, ottiene il tesserino da giornalista pubblicista, collabora con quotidiani ed emittenti radiotelevisive. Ultimo domicilio conosciuto: Tirana, Albania, dove svolge attività di consulenza per il Partizan. Finisce così, la carriera di un Onnipotente? Ufficialmente, sì. Ufficiosamente, se andate a fare una passeggiata dalle parti dell’Hotel Melià, vi sembrerà di essere sul set di un altro film: Shining. Sono tanti i segni, le persone, le sensazioni che ci ricordano il passaggio di Moggi da queste parti…
# Procuratori
Fuori i mercanti (gli intermediatori) dal tempio calcistico (il calciomercato), come detto spuntano nuovi protagonisti. Sono i procuratori, che si assumono la responsabilità di trattare i contratti di calciatori e allenatori con i direttori sportivi. Molti provengono direttamente dai ranghi dell’Associazione Calciatori, parecchi sono avvocati o comunque dispongono di una laurea in Giurisprudenza, altri ancora si improvvisano agenti perché intuiscono che questo lavoro può portare in tempi rapidi notorietà e tanti soldi. Ce n’è davvero per tutti i gusti, come in ogni ambito lavorativo: seri professionisti, improvvisati cialtroni, gente senza arte né parte che funge da prestanome. Fra i primi procuratori a farsi conoscere in Italia c’è Antonio Caliendo, che all’inizio della carriera fa sorridere tutto l’ambiente per una sua bizzarra abitudine: durante i lunghi viaggi in auto, invece di ascoltare buona musica pare che Caliendo ascolti audiocassette per imparare una lingua. L’italiano. Di questo, ovviamente, non trovate traccia nell’autobiografia pubblicata sul suo blog, che per dovere di cronaca vi riportiamo integralmente: “Nato nel 1944 in provincia di Napoli, Antonio Caliendo inizia giovanissimo a lavorare come agente della De Agostini per poi, qualche anno più tardi, aprire una casa editrice. Inventore dei diari scolastici dedicati allo sport, pubblica diversi manuali su alcuni grandi campioni degli Anni 70, tra cui il numero uno italiano di tennis Adriano Panatta. Il 16 dicembre 1977 Giancarlo Antognoni, allora centrocampista della Fiorentina e della nazionale italiana, firma ad Antonio Caliendo quella che probabilmente è la prima procura generale sottoscritta da un calciatore. Dal 1979 Caliendo inizia a lavorare a tempo pieno come “procuratore”, oggi “agente di calciatori”, e alla fine degli Anni Ottanta annovera fra i suoi assistiti circa 140 campioni. Nel 1990, nella finale a Roma dei Campionati del mondo tra la Germania e la nazionale Argentina, 12 dei 22 giocatori in campo sono suoi “clienti”. Tra i giocatori più famosi che ha assistito ci sono Aldair, Roberto Baggio, Carlos Dunga, Ramon Diaz, Daniel Passerella, Salvatore Schillaci, David Trezeguet, Maicon ed Ederson. Nel 2003, lancia a livello internazionale il primo e unico premio alla carriera votato dai tifosi via web, il Golden Foot, e raccoglie le impronte dei più grandi calciatori di sempre sulla “Champions Promenade” di Monte Carlo.
Oggi Caliendo “mette a disposizione della WCC e dei suoi clienti la sua vasta esperienza nel mondo del calcio non solo come agente di calciatori ma anche come consulente di mercato di grandi club”. Quindi, l’uomo che imparava il congiuntivo al casello sarebbe in realtà un uomo di Lettere, addirittura un Innovatore se si considera che aveva la procura di Antognoni quattro anni prima che venisse approvata la Legge 91 e lavorava “a tempo pieno come procuratore” due anni prima che cadesse il vincolo sportivo e quindi, in concreto, nessun calciatore poteva avere bisogno di un agente. Così va il mondo, quello del calcio in particolare. Quello che non c’è scritto, nella biografia, è che pure Caliendo si è… allargato, acquisendo un club, il Modena. Dopo quattro anni di gestione, Caliendo il 6 ottobre 2017 cede le azioni alla Ital Slovakia, società slovacca che accompagna, nel giro di un mesetto, i Canarini al fallimento. Il 28 novembre 2017, infatti, il Tribunale dichiara la morte della società nata nel 1912, lo stesso anno del Guerino.
# Quarantacinquemila lire
Clamoroso, nel 1923, il cosiddetto “caso Rosetta”. Virginio Rosetta gioca nella Pro Vercelli. Il calcio è uno sport dilettantistico, non dà guadagni. Il presidente del club vercellese (che è anche presidente della Federcalcio), Luigi Bozino, fronteggia la “scandalosa” richiesta di stipendio da parte dei suoi calciatori inviando loro una lettera nella quale sottolinea che è già una grande soddisfazione indossare la bianca casacca e di soldi non se ne parla. Rosetta la pensa diversamente: entra in contatto con un emissario della Juventus, Roberto Peccei, che gli propone un contratto presso la ditta Ajmone-Marsan, con lo stesso stipendio che guadagna da ragioniere a Vercelli: 700 lire. In più, la Juve gli verserà altre 300 lire, per farlo arrivare all’agognato tetto delle mille lire (per capire di che cosa stiamo parlando: sedici anni più tardi, nel 1939, tutti canteranno speranzosi il motivetto “Se potessi avere/1.000 lire al mese”…). Bozino pare accettare il “tradimento”, e in ogni caso il campionato – articolato su più gironi – inizia. La Juventus domina, vincendo le prime sette partite, e poi scoppia la rivolta. Il Genoa, che all’epoca è una potenza ed è stato surclassato da Madama, riesce a far convocare un’assemblea straordinaria della Federazione e, grazie alle deleghe raccolte presso altri club, fa invalidare il trasferimento di Rosetta alla Juventus, alla quale viene inflitta la penalizzazione di sei punti (oltre alla squalifica dello stesso calciatore). Un anno più tardi, Piero Monateri, dirigente juventino, versa 45mila lire alla Pro Vercelli per risolvere il caso e definire il trasferimento del terzino (che avrà uno stipendio di 6.000 lire e darà vita al “triumvirato con Combi e Caligaris). Siamo arrivati così al 1924: il principe Lanza di Trabia ha appena nove anni, ma il calciomercato – con la fine del puro dilettantismo – è in pratica iniziato…
# Rossi Paolo
L’estate del 1978 mette in vetrina due centravanti, Roberto Pruzzo e Paolo Rossi. Il Genoa cede alla Roma “O Rey di Crocefieschi” per poco meno di tre miliardi di lire. Più intricata, invece, la situazione di Rossi, che con il neopromosso Vicenza chiude il campionato al secondo posto, segna 24 gol e convince Enzo Bearzot a convocarlo in Nazionale per i Mondiali d’Argentina. Il suo cartellino è in comproprietà fra i “lanieri” e la Juventus. Giussy Farina, presidente del Vicenza, e Giampiero Boniperti, presidente bianconero, non trovano un accordo e quindi per definire il futuro di Rossi è necessario ricorrere alle buste. I contendenti scrivono su un foglio quanto sono disposti a spendere per il cartellino del centravanti e lo consegnano alla Lega. Il giorno dell’apertura delle buste, succede l’incredibile: la Juve, conoscendo le limitate risorse economiche del club veneto, scrive 750 milioni (quindi una valutazione complessiva di un miliardo e mezzo); il Vicenza, invece, la spara grossa, impegnandosi a versare due miliardi e 512 milioni (più di cinque miliardi di valutazione). Il calciomercato è in subbuglio: nessuno si aspettava che una “piccola” potesse giocare uno scherzo del genere alla Juve. Rossi rimane al Vicenza, ma né lui né Farina hanno vita facile. La stagione successiva, i biancorossi finiscono in Serie B, ma lui – dopo aver rifiutato la cessione al Napoli – resta comunque in A con un’altra operazione che desta clamore: il Perugia lo “affitta” per 800 milioni a stagione e il presidente umbro D’Attoma, per finanziare l’ingaggio, apre la porta agli sponsor “sporcando” per la prima volta una maglia con la scritta Ponte. La normativa non lo prevedeva, così Ponte diventò… sponsor tecnico, ma questa è un’altra storia…
# Santamaria Aristodemo
Oggi ci lamentiamo che nel calcio non esistono più le “bandiere”, giocatori che si legano a un club per tutta la carriera. Forse non tutti sanno che all’inizio, in Italia, non erano previsti trasferimenti di calciatori da una squadra all’altra se non per cause di forza maggiore. Vista la premessa, il calciomercato non sarebbe mai esistito. Invece, nel 1913, il calcio italiano perde la sua, diciamo così, verginità. Aristodemo Santamaria ed Enrico Sardi sono due calciatori che militano nell’Andrea Doria. In città, dopo il folgorante inizio di attività, il Genoa ha un po’ affievolito lo slancio: gli scudetti in bacheca sono già sei, ma l’ultimo è datato 1904. I dirigenti del Grifone, per rinforzare la squadra, corteggiano i due doriani, che ben presto cedono al fascino (proibito) del denaro. Dichiarano di voler cambiare squadra, e la cosa ovviamente dispiace ai tifosi. Uno dei quali lavora in banca, e una mattina li vede entrare per incassare due assegni (3.000 lire l’importo totale) che portano la firma di Geo Davidson, presidente genoano. Il cassiere riconosce i suoi ex idoli e li denuncia: Santamaria e Sardi vengono squalificati per due anni e multati di 1.000 lire a testa. La squalifica viene ridotta a un anno, i due tornano in campo e accompagnano il Genoa al settimo scudetto. Il calcio italiano, però, non sarà più lo stesso…
fonte:corrieredellosport