LETTERA POSTUMA ALLA NINFA AMALFI, OGGI CITTA BELLA E FORTE DI SITO E GENTE

.A tutta la città, intesa come collettività pensante e pervasa tutta, almeno lo spero, di orgoglio di identità e di appartenenza, è rivolta questa “lettera” che scrissi a fine 2011 e che è tratta dal mio romanzo/epistolario “TERRE D’AMORE:CILENTO E COSTA D’AMALFI. Spero tanto e mi auguro fortemente che costituisca una sferzata d’orgoglio ed una iniezione di fiducia per riprendere il cammino, che sulle e dalle radici prestigiose del passato costruisca un futuro sempre più luminoso. Ce n’è bisogno.
Cara Amalfi,
in principio fosti ninfa, tanto bella di grazia e di sorriso da ferire di dolcezza il cuore del rude Ercole, che, innamorato alla follia, dimentico della sua vita di giramondo spavaldo a caccia di pericolose “fatiche”, ti fu marito/amante mite tenero e devoto. Alla tua morte girò in lungo e in largo per tutto l’universo a caccia di una sepoltura adeguata e degna della tua sfolgorante bellezza.. Trovatala, ne fece il tuo eterno mausoleo decorandolo con gli alberi dei frutti pastosi ,profumati e squillanti di sole, che aveva rubato nel Giardino delle Esperidi, dopo avere ucciso il guardiano/serpente. La tua storia trasmigrata nella sacralità del mito l’ha immortalata in eleganti distici in latino Pontano, poeta, colto sempre, delicato e sensibile spesso.
I nostri Antichi Padri non furono da meno e ti figurarono come “una donna bella, vestitariccamente di broccato, assettata ad una seggia, con un leone in grembo et una palla,seu mondo,significando Amalfi essere bella e forte di sito e gente”
Mia cara ninfa materializzata in città con tutto il fascino del tuo mistero e lo splendore della tua bellezza,.in te si avverte una cifra impalpabile, ma vera; ed è la luce.Luce è il mare, luce il cielo ed il vento che insieme veleggiano tra le case. Luce a primavera nell’arabesco colorato delle colline, luce in estate nella sospensione assorta e smemore del giorno, luce in autunno nelle malinconie assopite delle foglie ramate, luce anche in inverno quando altrove si fa “agra e migrante e qui si ferma, si incide nelle insenature e vi si riposa come in un nido” C’è luce anche nei vicoli che s’imbutano nel ventre delle case e che preannunziano chiarori ad esplosione di solarità nei giardini segreti. Qui luce e sole hanno gusto quasi tattile e carnalità di sapori. Il sole è carico di vita come un frutto, i bambini lo succhiano al rosa corallino e al viola perlaceo delle ciliegie, lo spaccano alla polpa succosa delle albicocche, lo mordono nelle pesche gialle, lo spiccano al taglio dei denti, lo sbucciano a fuga di aromi nella compattezza delle arance e dei limoni, lo sbavano nel fuoco delle angurie e dei melloni gialli a mezzaluna..Il sole è quasi adagiato e si diverte a cavalcioni delle onde ed il mare, a sua volta, lo riverbera e lo rifrange sulla pelle, che, anche a distanza, cattura profumi di iodio e sale e lievita emozioni.D’altronde,qui c’è una magica “reciproca metamorfosi tra terra ed acqua” che fa del grappolo di case di Vagliendola un cespo di corallo riemerso e degli scogli intagliati e levigati dal vento e dall’onda pinnacoli gotici a trafiggere il cielo. Tu, mia cara ninfa/città a scivolo sull’acqua, sei un libro pietrificato lungo la costa, le cui pagine spigolose nascondono ed insieme disvelano anse e cale, che sono letti d’amore nella gloria del sole o nel fuoco della luna.E qui più che altrove “Il mare è il Lucifero dell’azzurro. Il cielo caduto per volere essere la luce”, tanto per dirla con il grande Federico Garcia Lorca..E case campagne ed orti si rincorrono tra salite a perdita d’occhio e discese ad abbracci di mare con soste a virgola di incroci e pause da svenimento estatico da slarghi precipiti. E cantano epopea di lavoro ed inni alla bellezza in una con la brezza, che, carica di profumi,rotola dalla montagna, pettina gli orti delle colline fino a gorgogliare giù con la risacca,che lenta ingravida le grotte-.Sono chilometri di Paradiso le vie zigzaganti, aorte che pompano vita e lavoro al tuo corpo steso in armonica bellezza da Lone, a Pogerola,a Vettica e a Tovere, nido di rondini sospeso lassù tra falesie di monti e cupole di cielo.E tu, ninfa/città di grazia e d’armonia, continui a regalare frutti pastosi, memore del dono del Giardino delle Esperidi nei tanti ettari coltivati a limoneti e a vigneti, che straripano dai terrazzamenti fino ad invadere il centro storico lungo il Chiarito a Valle dei Mulini o sui dorsali accecanti di sole di Madonna del Rosario e Capodicroce.
Mia cara città/ninfa, ancora poche ore e comincia la frenetica vigilia d’addio al 2011.L’anno che muore si vena di malinconia e quello che nasce ha rari spazi di entusiasmo.Il futuro è a luce intermittente come le palline colorate degli alberi, addobbati con parsimonia consigliata dalla crisi.Ma la tradizione vuole gli auguri allegri e festosi. Ed auguri siano, scoppiettanti come i fuochi d’artificio. frizzanti come una spumeggiante coppa di champagne.Che tu possa corservarti sempre seducente, nonostante i tanti, troppi, attentati alla tua bellezza. Che gli amministratori curino le tue ferite ridando splendore ed armonia ad ogni parte del tuo corpo, a cominciare dalle articolazioni anchilosate e intorpidite delle periferie per finire alla luminosità del tuo volto del centro storico spesso involgarito da trascuratezza nell’arredo urbano e dalla mancanza di cura nei particolari. Che tutti (amministratori, operatori turistici e la più vasta società civile) ritrovino ed esaltino l’etica della responsabilità, smettano i panni di Ercole rude, spavaldo ed un pò arruffone ed indossino quelli del marito/amante sensibile, delicato, tenero, ferito di dolcezza d’amore e ti rendano sempre più accogliente e seducente come si addice ad una regina, come ti figurarono gli Antichi Padri “riccamente vestita di broccato, bella e forte di sito e gente“. Che tutti sappiano raccogliere dal ricco scrigno dei tuoi tesori la tua eredità più preziosa: LA CULTURA
Quanto a me, mi auguro che ,per quel poco che ancora mi resta da vivere,sia sempre più fecondato dall’uragano delle emozioni che mi hai sempre dato e dallo stato di grazia di tradurle nella carnalità delle parole che si fanno poesia, che, per dirla con il grande Adonis, è sempre “luce di parole e parole di luce”, come ho cercato di renderti in un momento di felicità espressiva nella sonorità contagiosa del nostro dialetto..”Amalfi è nu quadro/pittato c’ammore/’nfunnenno ‘o penniello/ cu mille culure./Amalfi è poesia/scippata d’o core/è musica doce/sunata d’ ‘o mare/Amalfi è n’addore/purtato d’ ‘o viento/ca passa cantanno/ pe’ mmiez’e limune./Amalfi è nu suonno/sunnato scetato/c’o sole int’a ll’uochhie/guardanno ‘ncantato”
Giuseppe Liuccio