Gaia Trimarchi aveva sette anni, ma a Roma era già una promessa del nuoto. In vacanza nel paese delle madre, le Filippine, si è buttata nelle acque bellissime dell’isola di Caramoan senza paura. Non c’erano cartelli che avvertissero del pericolo mortale che nelle Filippine ogni hanno uccide fino a 40 persone e che proprio in quella zona, una settimana prima, aveva causato la morte di un altro bambino: le box jellyfish, cubomedusa in italiano, la cui puntura può provocare lo shock anafilattico. Gaia ha sentito subito male, la sua gamba era divenuta viola, ma a bordo della barca per turisti su cui, insieme alla madre, ad altri familiari e al suo allenatore di nuoto arrivato con lei dall’Italia, non c’era un kit di pronto soccorso per salvarla.
I RITARDI
Gaia stava male, era agonizzante, ma sono stati necessari 40 minuti prima di riuscire a portarla in un ospedale. La bimba è stata punta, mentre era in acqua, vicino a una delle isole più piccole, Sabitang Laya, in mezz’ora la barca ha raggiunto l’isola principale, Caramoan, dove c’è un ospedale, ma sono trascorsi altri dieci minuti per raggiungere, con un veicolo a tre ruotre, l’ospedale. La madre Manette lavora a Roma come commessa e con la famiglia abita al Portuense. Ha raccontato in un’intervista raccolta dalla tv Abs-Cbn: «Mia figlia adorava collezionare le conchiglie, così era rimasta solo nelle zone poco profonde, l’acqua le arrivava alla vita. All’improvviso, l’abbiamo sentito urlare di dolore. Gaia mi chiedeva: «Cosa mi sta succedendo?, io le ho risposto vedrai, non ti succederà nulla, per favore mamma, non portarmi più al mare, no, non succederà più, le ho detto». Sulla barca, oltre ai marinai che organizzano i tour per i turisti, c’erano il fratello e la cognata di Manette, un nipote e l’allenatore della piccola, venuto dall’Italia.
LE COLPE
«L’equipaggio e la guida turistica ci hanno detto che Gaia era stata punta da una medusa, ma non avevano un kit di pronto soccorso, se la sono presa con noi perché non avevamo portato l’aceto, che cura queste ferite. E la parte superiore della gamba di Gaia stava diventando viola». L’allenatore ha tentato di rianimare la piccola con la respirazione artificiale, inutile. Quando la bambina è arrivata in ospedale, dopo quei 40 minuti che sono apparsi 4 secoli a chi stava sull’imbarcazione, era ormai morta. Tutto è successo il 26 luglio, i funerali si sono svolti nelle Filippine, le tv locali hanno rilanciato le immagini della bara di Gaia, la sua Barbie vicino, la madre e il padre che si abbracciano. Ora vogliono riportare il cadavere a Roma, dove – secondo i media filippini – sarà cremato. I genitori di Gaia hanno spiegato che non intendono fare causa alle autorità dell’isola che non hanno messo cartelli per avvertire del pericolo, né al agli organizzatori del tour in barca, ma osservano: «Quella è una zona turistica, come è possibile che non vi siano cartelli che avvertano del pericolo mortale presente? Ho consigliato ad altri turisti, italiani, di visitare quella zona dove c’è il mare più bello al mondo – ha concluso nell’intervista rilasciata ad Abs-Cbn la madre di Gaia Trimarchi – ma come è possibile che sulle imbarcazioni per i tour non vi sia un kit di primo soccorso? Non deve più succedere, non devono morire altri bambini in questo modo».
Su un blog una giornalista filippina, cugina di Gaia, osserva: «Gaia sarebbe di sicuro diventata una campionessa di nuoto, ma tutte le sue aspirazioni resteranno solo dei sogni, perché nessuno ha fatto nulla per prevenire quella morte. Lì, solo una settimana prima, per la puntura di quel tipo di medusa, era morto un bambino di tre anni. Anche in Thailandia ci sono le cubomeduse, ma sanno come proteggere i loro turisti. Hanno sistemato le reti nelle loro acque poco profonde, avvertito i turisti di non fare il bagno notturno, messo ovunque degli avvertimenti».
Mauro Evangelisti IL Mattino
Elena Romanazzi
«Evitiamo allarmismi, la cubo-medusa mortale Chironex fleckeri che ha ucciso la bimba nelle Filippine non è presente nel Mediterraneo». Roberto Danovaro, presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn spiega come riconoscere le meduse pericolose.
Presidente dove si trova la cubo-medusa mortale?
«È presente ed abbondante nel Pacifico, nelle acque australiane, nelle Filippine».
Come si può riconoscere?
«Non sempre può essere identificata con facilità. Stiamo parlando di un cubo gelatinoso di piccole dimensioni con dei tentacoli sottilissimi, non lunghissimi con una concentrazione elevata di un veleno mortale».
Per la piccola non c’era scampo?
«Una volta venuta a contatto, proprio per la dimensione del corpo limitate, il veleno agisce più in fretta».
Esistono degli antidoti?
«Ci sono ma non sempre, e questo è sicuramente il caso, sono disponibili e a portata di mano e soprattutto difficile riconoscere con quale tipo di medusa si è venuti a contatto».
Che tipo di veleno contiene?
«Si potrebbe paragonare a quello di un cobra, una neurotossina mortale».
Come viene iniettato il veleno?
«Non si tratta ovviamente di iniezioni. Le nematocisti presenti nelle meduse si rompono una volta che vengono a contatto con la pelle. La diffusione della tossina è rapida».
Nel Mediterraneo non è presente?
«Esiste una cubo-medusa ma non è mortale, urticante sì ma non letale. Si tratta della Caribdea marsupialis ed una volta anche io sono venuto a contatto con i suoi tentacoli. Il veleno di questa tipologia è molto meno pericoloso anche se il contatto è estremamente doloroso».
Come occorre comportarsi quando si viene toccati da una medusa?
«È indispensabile lavare delicatamente la parte senza sfregare in modo da rimuovere le nematocisti. Vale la pena ricordare che il lavaggio non deve essere effettuato con l’acqua dolce ma sempre con acqua salata».
È possibile che queste specie altamente mortali possano arrivare anche nel Mediterraneo?
«In questi ultimi anni alcune specie tropicali stanno entrando nel Mediterraneo. Tra queste la nota Caravella portoghese facilmente riconoscibile per avere dei tentacoli che possono raggiungere anche i dieci metri. Una specie questa che un tempo era presente solo in aree lontanissime. Purtroppo il Mediterraneo insieme alla Cina sta diventando il bacino di specie «aliene» che entrano attraverso il Mar Rosso. Ma non tutte le meduse sono pericolose».
Quali consigli può dare a chi sceglie mete tropicali?
«È opportuno che si indossi sempre una muta anche leggera e dei guanti è uno strumento di sicurezza per evitare contatti anche accidentali con ciò che è tossico e urticante».