Guida alla gestione delle emozioni di bambini e adolescenti del dott. Carlo Alfaro
Le emozioni sono un processo mentale (dunque, non uno stato, ma un evento dinamico, in evoluzione) articolato in più componenti: gli antecedenti delle emozioni, che sono gli eventi, esterni o interni, che le scatenano (sensazioni, percezioni, ricordi, pensieri, immagini mentali); la valutazione cognitiva (presa di coscienza) dell’antecedente emotigeno; l’attivazione fisiologica dell’organismo (variazioni nella frequenza cardiaca e respiratoria, sudorazione, pallore, rossore, tensione o rilasciamento muscolare, modificazioni della salivazione, vertigini, disturbi della vista, sensazioni gastro-intestinali come crampi, nausea, vomito); le espressioni verbali (esclamazioni, esternazioni) e non verbali (espressioni facciali, postura, gesti) di risposta; i cambiamenti di comportamento in risposta all’emozione(pianto, riso, azioni). La differenza tra emozioni e sentimenti risiede sostanzialmente nel fatto che le emozioni hanno durata più breve e immediata, mentre i sentimenti sono condizioni consolidate e durature. In base al piacere o dispiacere che causano (componente edonica), alcune emozioni sono avvertite come negative altre positive. Inoltre, le emozioni sono distinte in primarie, o di base o basilari o universali, che sono innate, presenti fin dalla nascita e costanti in ogni popolazione del mondo, indipendentemente da cultura e regole sociali, e secondarie, che originano dalle primarie in seguito alle interazioni sociali e quindi sono influenzate dal contesto socio-culturale. Le emozioni primarie sono 6: tristezza (conseguente alla sensazione di aver perso qualcosa di caro o aver mancato un obiettivo; porta l’individuo ad autosvalutarsi, isolarsi e deprimersi), paura (serve alla sopravvivenza dell’individuo avvertendolo di una minaccia o pericolo affinchè attivi meccanismi di difesa o fuga), rabbia (nasce da un senso di sopraffazione, frustrazione o minaccia e genera impulso all’aggressività), gioia (origina dalla soddisfazione di un desiderio o aspettativa), sorpresa (risposta a un evento inaspettato, positivo o negativo), disprezzo/disgusto (innata repulsione, rifiuto e disdegno verso persone o cose), cui alcuni autori aggiungono anche interesse (istintiva propensione, attenzione, orientamento verso qualcosa). Sono invece esempi di emozioni secondarie: allegria (piena e viva contentezza e soddisfazione), invidia (sofferenza per qualcosa che si vorrebbe e un altro possiede), nostalgia (rimpianto per la mancanza di persone o luoghi o eventi del passato), ansia (paura esagerata e immotivata di pericoli non reali ma ipotizzati), vergogna (sensazione di aver trasgredito ad una regola ricavandone un giudizio negativo dagli altri che umilia e svilisce), colpa (senso di aver agito in modo contrario alla norma morale e dispiacere per il danno provocato), rassegnazione (sofferente e supina accettazione di un evento negativo), gelosia (paura di perdere qualcosa su cui si sente di avere dei diritti), speranza (attesa positiva di realizzare un’aspirazione o desiderio), perdono (sostituzione di emozioni negative che seguono un’offesa con emozioni positive), offesa (reazione alla percezione di aver subito un oltraggio), rimorso e rimpianto (pena o turbamento per aver fatto o non fatto qualcosa), delusione (constatazione che le aspettative, le speranze coltivate non si sono realizzate), noia (senso di vuoto per mancanza di stimoli e gratificazioni in quello che si fa), orgoglio (soddisfazione di se stessi per un obiettivo conseguito) e tantissime altre. Probabilmente, questo impianto classificativo dovrà essere rivisto, dato che sarebbero ben 27 invece le categorie di emozioni fondamentali (ammirazione, adorazione, apprezzamento estetico, divertimento, ansia, soggezione, imbarazzo, noia, calma, confusione, desiderio, disgusto, dolore empatico, estasi, invidia, eccitazione, paura, orrore, interessamento, gioia, nostalgia, amore, tristezza, soddisfazione, desiderio sessuale, simpatia, trionfo) secondo uno studio del 2017 della Università della California di Berkeley, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, che ha analizzato le risposte emotive di 853 volontari a una serie di video (della durata di 5-10 secondi) studiati appositamente per evocare diverse emozioni.
Sin dalle prime fasi della vita, la possibilità di vivere appieno le emozioni è fondamentale per lo sviluppo equilibrato della personalità. Provare emozioni è un comportamento “adattivo” che permette l’armonizzazione dell’individuo nell’ambiente in cui è immerso, lo sviluppo di comunicazione e relazione tra esseri umani e l’adattamento al contesto sociale. La capacità emotiva è presente nel corredo neurobiologico genetico di ogni essere umano ed è attiva sin dalla nascita: le diverse emozioni poi si sviluppano grazie alle esperienze e ai fattori socio-ambientali che modulano lo sviluppo del cervello del bambino. Le emozioni primarie sono molto precoci (primi giorni-mesi) e istintive; sono fondamentali per stabilire una comunicazione positiva tra bambino e chi si occupa di lui. A partire dai 2 anni il bambino sviluppa una forma di auto-coscienza che lo rende in grado di formare il concetto di Sé e percepirsi come possibile oggetto delle attenzioni e dell’osservazione altrui (infatti, comincia a riconoscere la propria immagine allo specchio): da questa età si sviluppano le emozioni secondarie, che necessitano di auto-consapevolezza e auto-riflessione. Lo sviluppo delle emozioni nelle fasi successive della crescita è legato alla personalità individuale, all’ambiente socio-culturale e alle esperienze di vita. Dai 7-8 anni, grazie alla maturazione cognitiva, il bambino comprende che è possibile nascondere le emozioni e che esse non si basano solo sull’esperienza ma anche su desideri o previsioni. Lo sviluppo delle emozioni manifesta anche delle differenze di genere che in parte sono genetiche (ad esempio nelle femmine c’è una maggiore attivazione delle aree cerebrali con abbondanza di neuroni a specchio, deputate al riconoscimento delle emozioni altrui in base all’espressione del volto, il che porta le bambine ad esprimere di più le proprie emozioni), in parte legate ai condizionamenti sociali (ad esempio entrambi i sessi provano ugualmente rabbia, ma le ragazzine imparano a nascondere i sentimenti di aggressività per le aspettative sociali che valorizzano nella donna dolcezza e remissività). Durante l’adolescenza avvengono poi grandi cambiamenti, che hanno profonde risonanze emotive: cambiamenti somatici e sessuali che impegnano i ragazzi in un processo di costruzione di una nuova immagine di Sé; nuove acquisizioni cognitive che aprono le porte al pensiero ipotetico- deduttivo; riorganizzazione dell’identità in una nuova consapevolezza di sé e dei propri limiti; ambivalenza verso le figure genitoriali in quanto tra i principali compiti evolutivi dell’adolescenza vi è il processo di distacco dai legami di attaccamento dell’infanzia ai fini della formazione della propria individualità. L’adolescente sente fortemente il bisogno di essere approvato dai coetanei, in quanto la sensazione di perdita della propria immagine e del proprio ruolo di bambino generano sentimenti di incertezza e insicurezza che solo l’appartenenza a un gruppo anestetizzano, conferendogli identificazione e conferme. Per quanto riguarda la competenza emotiva, gli adolescenti sviluppano di norma diverse abilità: sono consapevoli delle proprie e altrui emozioni (coinvolgimento empatico), hanno la capacità lessicale di esprimerle articolatamente, sono in grado di etichettarle a partire da espressioni facciali e riconoscere i tipici antecedenti emotigeni, comprendono che è possibile nasconderle o dissimularle e che esistono strategie di “coping” cioè di adattamento per fronteggiare, gestire, ridurre o tollerare le emozioni negative, riescono a “mentalizzare” le emozioni come “stati interni” della psiche. Il passaggio al pensiero operativo formale e lo sviluppo metacognitivo consentono inoltre lo sviluppo di aspetti riflessivi collegati alle emozioni, ad esempio condividere emozioni provate da gruppi di persone. Il disagio adolescenziale può nascere dalla difficoltà dei giovani nel sentire, riconoscere, contenere e gestire le emozioni nuove legate al passaggio transizionale. Emozioni poco regolate generano comportamenti basati su negazione, rifiuto, demotivazione, apatia, opposizione alle regole, aggressività, irresponsabilità e bassa autostima. Un mondo interiore sentito come straniero, lontano da sé, rende l’adolescente fragile e incline a comportamenti devianti e a rischio. Tra le emozioni che avvelenano gli adolescenti, causa soprattutto l’investimento narcisistico su se stessi e l’illusione di onnipotenza, il senso di fallimento e amarezza di chi, vivendo uno spiccato perfezionismo (di tipo disadattativo), tende a giudicarsi con eccessiva autocritica, ad aver paura di sbagliare e a preoccuparsi molto per le valutazioni negative da parte degli altri, un insieme di fattori psicologici negativi che può condurre a sintomi di esaurimento e depressione. La soluzione sarebbe, secondo un recente studio coordinato da Madeline Ferrari, dell’Australian Catholic University di Strathfield, i cui risultati sono stati pubblicati su PLoS One, nell’imparare ad affrontare i propri insuccessi ed errori con sentimenti di auto-compassione, gentilezza e perdono verso se stessi.
Il ruolo dei genitori nello sviluppo delle emozioni dei figli è fondamentale: il genitore deve “rispecchiare” i vissuti del bambino per dargli la possibilità di riconoscere e definire le emozioni che sta provando, in modo che in futuro sia in grado di accoglierle e gestirle senza esserne sopraffatto. La psicologa Susan David, autrice del libro “Emotional Agility”, suggerisce quatto passi per insegnare ai bambini e ragazzi l’uso dell’intelligenza emotiva: sentire l’emozione, cioè riconoscerne la realtà; mostrarla, cioè dichiararla e descriverla; etichettarla, cioè darle un nome, convalidarla, discuterne, in un momento prezioso di ascolto e confidenza genitore-figlio; guardare andare via la cattiva emozione, nella consapevolezza che tutto passa. Tutto il mondo degli adulti, famiglia, scuola, luoghi aggregativi o sportivi, ha la responsabilità di stimolare in bambini e ragazzi l’elaborazione emotiva di esperienze e stati d’animo, di sé e degli altri, attraverso l’ascolto attivo dei loro pensieri, bisogni ed esigenze, il mettersi nei loro panni, il sostegno e incoraggiamento a trovare soluzioni. La repressione delle emozioni inizia sin da piccoli; se il bambino non ha trovato accoglimento e contenimento delle proprie emozioni nel mondo esterno, le auto-contiene, con rischio di implosione, perché convinto di essere rifiutato o non capito se le esprimesse. L’analfabetismo emotivo genera una immaturità affettiva che condiziona irrimediabilmente il futuro dell’individuo: potrà diventare un “uomo normotico”, o “senza inconscio”, incapace di provare emozioni e sentimenti. L’alfabeto delle emozioni può essere insegnato ai bambini, come la grammatica e la sintassi: educare alle emozioni significa offrire ai bambini, nell’arco della loro crescita, adeguate opportunità di esplorazione e di elaborazione dei loro mondi emozionali e relazionali, insegnar loro l’esercizio di leggere, interpretare, comprendere e gestire le proprie e le altrui emozioni, apprendere e arricchirsi dall’esperienza, sviluppare risposte ai loro stati d’animo funzionali alle richieste dell’ambiente e ai loro desideri e utilizzare tali abilità per entrare un felice equilibrio nel mondo che lo circonda in armonia con se stessi e con gli altri in una circolarità di benessere. Lo sviluppo dell’intelligenza emotiva migliora l’apprendimento, i rapporti con gli altri, la crescita interiore, il senso di responsabilità, l’autostima, in una parola il futuro del bambino/adolescente..