10. Io è l’altro «una cosa sola»
Consolare è dare ragion di speranza, dicevamo ieri, di quella speranza che non si fonda su favole, su mistificazioni, su autentiche alienazioni in nome di umanesimi monchi del respiro della trascendenza, su ideologie transeunti come tutte le ideologie che hanno attraversato i giorni della storia degli uomini, ma è stabile sull’esperienza di un amore non deluso, sempre presente, fedele, al quale si può attingere in qualunque momento. Dare ragioni di speranza, quindi consolare, è capacità di amare secondo verità e totalità. Gesù presso il pozzo di Giacobbe a Sicar è totalmente vero con la donna samaritana ed è insieme totalmente amante dando a lei, autentiche e non fallaci “ragioni di speranza” per l’oggi e per il futuro. «Liberaci dal male», preghiamo infatti nel Padre nostro: consolare è anche liberazione dal male non in nome di qualche filosofia umana, ma in nome di Colui che «risorgendo ha vinto la morte e ci ha fatti partecipi della sua vita divina». Consolare gli afflitti è annunciare il Vangelo della speranza vera agli uomini disperati, disorientati, disillusi, scettici, forti e deboli, attenti e distratti, desiderosi di ascoltare o chiusi in una egoistica sordità interiore, credenti o atei, attenti e disponibili o indifferenti. In sintesi, agli uomini nella concretezza della loro vita quotidiana, della loro storia singola e comunitaria, individuale e sociale, a quegli uomini e a quelle donne che incontriamo tutti i giorni nelle nostre famiglie, nei nostri ambienti di lavoro o di studio, noti o sconosciuti. E concludo con un tema a me caro: consolare gli afflitti è riconoscere il volto fratello di ciascuno di loro, sapere e vivere un’appartenenza che proviene dal credere che loro ed io siamo, in Cristo, «una cosa sola» .
Aniello Clemente