3. Kenosi. Il cristiano, la fede e la “Diciotti”
La logica della kenosi è quella che la mistica ebraica chiama tsîm-tsûm , letteralmente “contrazione” alludendo al parto. È la kenosi, detto con il linguaggio paolino (cf. Fil 2,7): l’abbassamento, lo svuotamento, l’impoverirsi e l’umiliarsi di Dio . È il movimento dell’incarnazione del logos, come canta il prologo del quarto Vangelo, che viene a piantare (eskēnōsen) la sua tenda tra gli umani (cf. Gv 1,1-18) . «C’è un legame intimo e inaccessibile tra il cuore del Padre e la persona di Cristo: è la relazione d’amore nello Spirito Santo. Da qui il senso agapico e la radice trinitaria della misericordia. Per Gesù, infatti, amare, perdonare, essere misericordioso, vuol dire donare la vita fino all’estremo, secondo quel principio della kenosi (cf. Fil 2,6-11) che rende credibile lo stare al mondo del Figlio di Dio, rivolto completamente verso il Padre (cf. Gv 1,1.2.18) e sempre orientato verso l’uomo (cf. Gv 1,14). Si tratta di quel dono della vita che ha la sua sorgente nel mistero insondabile del Padre, “principio senza principio” (il Silenzio), fonte della vera esistenza, che solo il Verbo venuto nella carne ha potuto rivelare in una forma scandalosamente umana (cf. Gv 1,18)» . L’annuncio di Giovanni, Verbum caro factum est, è entrato progressivamente nel vissuto della chiesa, destando ogni volta curiosità intellettuale, dibattiti e confronti accesi, spazi di contemplazione e di rapimento mistico. Accanto a questa riflessione sul mistero, andrebbe meglio sviluppata un’analoga riflessione sul senso paradossale della vicenda umana del Verbo incarnato, come ci viene descritta dai Vangeli. Egli è veramente il Figlio di Dio, eppure si china su ogni uomo per asciugare le sue lacrime. Riconosce di essere il maestro, eppure si inginocchia davanti ai suoi discepoli per lavare loro i piedi. Pare quasi che ponendo a confronto l’infinità realtà di Dio e quella creaturale dell’uomo, quest’ultima inspiegabilmente occupi una posizione più prestigiosa. Mentre nelle altre tradizioni religiose, contrarie a pensare a una qualsivoglia simmetria tra Dio e l’uomo, è l’essere umano che si inginocchia davanti alla divinità, riconoscendone l’assoluta trascendenza, qui ci troviamo di fronte a un letterale capovolgimento di prospettiva . Il paradosso in verità attraversa tutte le pagine del Vangelo. Viene insegnato che è necessario diventare deboli per essere forti, poveri per essere ricchi, ultimi per essere primi. Il Dio nascosto si rivela – secondo la nota espressione di Lutero – nel segno contrario, (sub contraria specie). La gloria di Dio si rivela nell’abisso della croce. Vertice paradossale dell’incarnazione: Dio entra imprevedibilmente nella storia umana, nel vissuto concreto dell’uomo, oltre ogni schema pensabile, fuori dai quadri fissati dalle tradizioni teologiche delle religioni. Su Cristo vero uomo risplende la bellezza, la bontà, la giustizia di Dio. Qui appare la verità dell’uomo nella nudità della kenosi di Dio. Mistero sublime e paradossale ad un tempo. Per questo la vera icona del mistero dell’uomo, nella proposta del Vangelo è quella del povero, del migrante, dell’Ecce homo (Gv 19, 5), di chi – fattosi servo – offre se stesso per la vita degli altri .
Aniello Clemente