4. Giustizia e misericordia. Il cristiano, la fede e la “Diciotti”
Qui qualcuno mi potrebbe zittire ribadendo che le scelte politiche sono realmente giuste perché riscuotono il favore della gente. Questo sarebbe da dimostrare nel tempo, basti ricordare Danton, Robespierre, e per guardare in casa nostra Masaniello, ma attenzione: «il giusto è vicino al cuore della gente ma il misericordioso è vicino al cuore di Dio» (K. Gibran). E non sono termini antitetici: «Il frutto della misericordia è la giustizia, ossia custodire l’altro nel bene, volere per l’altro, per il nemico, solo il bene. Io sono misericordioso, ossia responsabile per l’altro, nella misura in cui lo accolgo e lo benedico» . L’amore è misericordioso, e la misericordia è intima condivisione del dolore dei sofferenti, dei disprezzati e degli emarginati: costa molto perché spinge ad agire e a portare soccorso ai sofferenti e ai disprezzati; l’amore misericordioso, come emerge dalla parabola del figliol prodigo, è realmente sanante e liberante . Non desidero che questo mio scritto risulti moralista o punti il dito su qualcuno, ma solo far riflettere sulle proprie scelte di vita per chi si professa cristiano, cattolico, apostolico. Ma badate bene non è affatto una questione unilaterale di fede: un vecchio rabbino domandò una volta ai suoi allievi da che cosa si potesse riconoscere il momento preciso in cui finiva la notte e cominciava il giorno. “Forse da quando si può distinguere con facilità un cane da una pecora?”. “No”, disse il rabbino. “Quando si distingue un albero di datteri da un albero di fichi?”. “No”, ripeté il rabbino. “Ma quand’è, allora?”, domandarono gli allievi. Il rabbino rispose: “È quando guardando il volto di una persona qualunque, tu riconosci un fratello o una sorella. Fino a quel punto è ancora notte nel tuo cuore”. E qui andate a scomodare Maritian, Levinas e tutti quelli che hanno parlato del “volto dell’altro”. Il grande apostolo dei neri diceva: «Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l’arte di vivere come fratelli» (Martin Luther King). Noi cristiani abbiamo dimenticato che «Gesù propone a chi lo segue la perfezione dell’amore: un amore la cui unica misura è di non avere misura, di andare oltre ogni calcolo. L’amore al prossimo è un atteggiamento talmente fondamentale che Gesù arriva ad affermare che il nostro rapporto con Dio non può essere sincero se non vogliamo fare pace con il prossimo. E dice così: “Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello” (Mt 5, 23-24). Perciò siamo chiamati a riconciliarci con i nostri fratelli prima di manifestare la nostra devozione al Signore nella preghiera» . Se è già difficile questo immaginate quando si tratta dei migranti che vediamo come nemici, eppure: «L’amore misericordioso di Dio (agápê) che Gesù ha annunciato e incarnato non è l’amore della reciprocità, ma l’amore preveniente e incondizionato, asimmetrico. La sua forma più perfetta è quella dell’amore per i nemici. Si tratta dell’amore creativo che ci rende responsabili nei confronti dell’altro, chiunque egli sia. Chi risponde al male con il bene non si limita a reagire, ma produce qualcosa di nuovo. “Quando si amano i nemici non ci si chiede più come difendersi da essi, in che modo scoraggiarli dall’attaccare, quando invece come toglier loro questi sentimenti di inimicizia […]. Questo modo di amare, dunque, è tutt’altro che etica dei sentimenti, ma vera e propria etica di responsabilità” . Si tratta di fare proprio il criterio cui s’ispira il discorso della montagna, ossia quello della figliolanza, dove Dio fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi e piovere sui giusti e sugli ingiusti, dando vita e sostentamento a ogni cosa (cf. Mt 5,44-45)» . Mi fermo qui, santa giornata.
Aniello Clemente