8. Nel nome della libertà (anche il migrante è “persona”)

13 settembre 2018 | 09:33
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8. Nel nome della libertà (anche il migrante è “persona”)

«Penso che alla base di tanti problemi di oggi, dal punto di vista etico, ci sia una concezione in termini di assolutezza, come se la libertà, il principio di autodeterminazione, che certamente è un principio valido, debba essere applicato in termini assoluti, senza limiti di riferimento e senza altri giudizi di ordine superiore. È necessario per tutti quanti noi riprendere il concetto vero di libertà, non in termini individualistici, che tenga sempre conto dell’importanza delle relazioni e dell’esistenza di valori oggettivi non disponibili per le nostre decisioni». Così scriveva il card. Bagnasco evidenziando l’urgenza di un supplemento di riflessione sull’idea di “persona”, con particolare riferimento al rapporto tra libertà e responsabilità. «La persona è qualcosa di dato, non è solo la coscienza della persona. Tutto il mondo moderno si basa sull’idea cartesiana di persona: “penso, dunque sono”, dimenticando che la persona non è solo quella che pensa, o che altre persone pensano che stia pensando. La persona “esiste” e nel momento in cui lo riconosco, devo agire di conseguenza. Il problema è che oggi siamo tutti un po’ figli della cultura dominante, che non accetta nessun tipo di limite. La stessa legge nasce dal fatto che l’animo umano è insufficiente: non ci si fida nell’autocapacità di darci delle regole» . In altre parole, in casi come quello della Diciotti ci sono troppi interessi in gioco, per poterci fidare di noi, per questo sono necessarie delle regole, che rappresentino un sostrato oggettivo che ci blocca, quando varchiamo i limiti; altrimenti il margine di arbitrio sarebbe grandissimo. Bisogna recuperare il nesso tra libertà e responsabilità. Per poterlo fare bisogna riscoprire il senso della dignità della persona. In una visione funzionalistica la persona è vista come individuo, all’interno di un processo di tipo biologico e cognitivo, ma è più di se stessa. Per intenderci, simbolicamente, ma anche concretamente, il migrante (di qualsiasi etnia) rappresenta tutto il genere umano. È questa dignità di persona come rappresentante del genere umano che va ritrovata, ci sono e ci saranno 10, 100, 1000 Diciotti e persone che si trovano in condizioni di povertà, di dipendenza, di sofferenza, che non sono solo casi singoli o casi limite. Il caso della Diciotti c’insegna l’importanza di due parole: dignità e rispetto. Il ministro Salvini, dal suo punto di vista, dice di voler esercitare una responsabilità nei confronti dei suoi elettori (erroneamente dice “degli italiani”). La sua posizione va rispettata, altri la giudicheranno, ma occorre anche nel contempo tener presente che la categoria di responsabilità va considerata in un’accezione più ampia, collegata cioè con la dignità della persona, che è un valore aggiunto di ordine oggettivo. Rispettare la vita altrui, vuol dire rispettare la soggettività, il valore di cui ciascuno di noi è portatore .
Aniello Clemente