MERITATO. La vince il Napoli, e senza che sulla serata possa allungarsi un solo dubbio, perché dall’impatto in poi c’è una sola squadra, che sviluppa le due fasi attraverso equilibri mai precari, eppure basterebbe sbagliare un movimento per trovarsi scoperti, invece assecondati con un rigore solenne. Magari lo spettacolo, nella sua accezione letterale, non esplode, ma si avverte la gradevolezza dei movimenti, la loro sintonia con reparti che paiono collegati attraverso un filo invisibile ma percepibile. C’è tanto Napoli, nella personalità e nella autorevolezza di andare ad affrontare una delle favorite della Champions senza inibizioni, con sfrontatezza, inventandosi – idea di Ancelotti, chiaramente – Maksimovic esterno basso di destra – e una difesa che aspetta il Liverpool a quattro ma quando riparte si sistema, oscillando dietro, a tre. E’ una partita dai contenuti cerebrali, e Hamsik ci è dentro, stupendamente, ma è anche un match muscolare, e Allan sembra un alieno che compare nel san Paolo che brucia Salah, dal quale esce subito (19′) Keita e che si prende la luce di Van Dijk e Gomez, due statuari e giganteschi gorilla. Strano ma verissimo, c’è poco Liverpool, invece, e il merito è del Napoli, che è trascinante, corre (soprattutto) in avanti, non lascia campo, soffoca le idee di Henderson sul nascere e spegne le ripartenze.CHE FIATO. Si pressa, eccome, ma parecchio e il Napoli ha la capacità di farlo ovunque, con le coppie esterne (Maksimovic-Callejon da una parte e Mario Rui-Fabian Ruiz dall’altra) che partono, coprono, rilanciano, allargano il campo e poi lo restringono. Il problema, da una parte e dall’altra, rimangono gli attaccanti, difficili da raggiungere.
LE CHaNCE. Il Napoli è più vivo, più presente a se stesso, ha in Hamsik un regista ispirato (allora si può fare) e uomini che usano l’intelligenza, occupando il campo, evitando che il Liverpoll se ne impadronisca, e intravede possibilità di impossessarsi della nottata: la sassata di Milik (5′) ha bisogno dei guantoni di Alisson, mentre a Fabian Ruiz, sistemato sul dischetto da Milik, manca la rapidità di pensiero.
ECCO IL BOATO. Ci vuole un’ora affinché il Liverpool riemerga dal letargo, ci vuole un attimo di appannamento del Napoli (e di Hamsik, stremato, poi sostituito da Zielinski) perché la partita sposti il suo asse ma è soltanto una pallida sensazione, perché Ancelotti la rimescola, infila Verdi per Fabian Ruiz e Mertens per Milik, ha più verticalità, lancia un messaggio subliminale alla squadra con un capolavoro strategico ma quando Gomez (30′) salva sulla linea pare che gli dei hanno deciso. Eh sì, sembra di sì, lo teme anche Mertens (37′), che sul colpo di testa sente vibrare la traversa, ancora lì a dondolare. Ma il timbro rischierebbe di metterlo Kassai, che su un contatto in area Mertens-Gomez decide per il fallo dell’attaccante, invertendo le sensazioni dello stadio, ignaro che uno scugnizzo sarebbe andato oltre gli astri, sul cross di Callejon, a sistemarsi tra le stelle. La Champions è anche per il Napoli.
RIGORE
A 4’ dalla fine, Mertens entra in area, tallonato da Gomez che lo aggancia sulla gamba sinistra proprio sulla riga dell’area di rigore (quella che vedete nella foto sotto). Ok, tralasciamo la necessità del VAR (tanto all’Uefa preferiscono rinviare tutto di un anno, il prossimo). Ma questo è un rigore che si doveva vedere dal campo.
ARANCIONE
Riavvolgiamo il nastro, primi minuti di partita. Keïta entra con il piede a martello sul piede di Maksimovic che stava calciando un pallone: ci stava sicuramente il giallo, anche se è un intervento da … arancione acceso. Kassai dà addirittura solo la rimessa laterale.
DISCIPLINARE
Di giusto c’è solo il giallo per Milner: pallone giocabile e lui interviene sì duramente ma con il piede basso, non può essere rosso, pure se siamo al limite. Manca un giallo per Albiol, che trattiene in maniera prolungata Firmino.