«Rischiare la vita PER AMORE: MAI PIU’» 

23 novembre 2018 | 07:09
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«Rischiare la vita PER AMORE: MAI PIU’» 

L’aggressione nel 2014, l’ospedale, l’invalidità, la fine di un sogno: parla l’arbitro umbro

La storia di Elena Proietti, arbitro di calcio, prima ancora che nuovo assessore allo sport e alle politiche giovanili del Comune di Terni, gira tutta intorno ad una domanda. Da quel maledetto 7 dicembre di quasi quattro anni fa, rimbalza e rimbomba, ora più forte dell’indifferenza di prima. «Perché?». Ce ne sono tanti. A cominciare dal perché sia accaduto tutto questo, dal perché Egwu Narciso Rawlings abbia colpito Danilo Fastellini così forte da causargli le fratture del naso e delle orbite oltre a due denti rotti. E dal perché, poi, come riportato nella sentenza del Giudice sportivo, abbia colpito l’arbitro con «inaudita violenza». La storia di Elena Proietti finisce e inizia sul campo del Real Quadrelli. Sempre con quell’interrogativo in testa.

Appunto, perché?
«Non riesco a spiegarmeli neanche io. E ce ne sono altri, di perché. Perché sia stata abbandonata, dall’Aia prima e dalla Federcalcio poi. Perché della mia storia nessuno ha mai potuto dire e scrivere nulla e chi l’ha fatto è stato in qualche maniera redarguito. Perché chi picchia un arbitro – ma sarebbe lo stesso con un avversario – possa avere una seconda possibilità, come la avrà chi mi ha cambiato la vita, mentre chi subisce, spesso, quella possibilità non ce l’ha più. Io ne sono un esempio».
Questa storia comincia a 15 anni.
«Avevo giocato a pallacanestro, ma quello che sentivo in campo era diverso, trascinante. Avevo anche provato a giocare a calcio, ruolo attaccante di sfondamento (ride), ma non ero riuscita mai ad appassionarmi. Papà Gianni, che è medico cardiologo, aveva fatto l’arbitro. In qualche maniera sono stata influenzata da lui. Anzi, no. Da nonna Silvana…».
Ci spieghi, prego.
«Avevo tre anni, Distinti B del Liberati, la Ternana in campo. Mi ci portò lei, una domenica. E poi quella successiva. E poi tutte le domeniche. Così il calcio è diventato l’amore della mia vita».
Per quell’amore ha rischiato di morire.
«Così fece capire il prof. Michele Fortunato, l’oftalmologo del Bambin Gesù, a mia mamma. Sì, ok, non ero una… bambina, però mi ha aiutato. Ho mandato i referti anche a Boston. Purtroppo, come mi hanno detto, la lesione al nervo ormai era permanente. E come quella all’orecchio. Potrei mettere un apparecchio acustico. Lo farò, a 80 anni..».
La data, 7 dicembre 2014…
«Una domenica iniziata come tante altre, anzi, una cosa diversa ci fu. Papà mi seguiva ovunque, non quel giorno: “E’ qui vicino, ma sì, stavolta puoi andare da sola”. Anche la partita, normale, come tante altre. Anzi, di gare con il coltello fra i denti ne ho arbitrate, mi creda, quella era tranquillissima».
Ricorda cos’ha pensato prima di venir colpita?
«Sì. Pioveva e aveva piovuto, ero tutta sporca di fango, la partita era quasi finita e dentro di me dissi: “ora vado a farmi la doccia, chissà che casino faccio nello spogliatoio conciata così”. Invece… ».
Il processo penale dice che fu un colpo accidentale.
«Io quel pugno l’ho visto partire e arrivare. Nonostante avessi le lacrime agli occhi».
Piangeva?
«Sì, perché avevo appena visto come era ridotto quel giocatore a terra, in una pozza di sangue, l’osso del naso completamente spostato verso le orecchie, una maschera. L’hanno operato, aveva le orbite sfondate. Ho testimoniato nel suo processo, lo scorso marzo».
Torniamo indietro. Quindici anni, il calcio femminile non l’appassiona, il calcio in generale sì. Decide di fare l’arbitro, scelta sicuramente particolare.
«Non lo dica ai miei. Ho dovuto litigare con loro per andare a fare il corso arbitri».
Quando si insegue una passione, si ha sempre un idolo.
«Per me era Collina, primo punto di riferimento. Interventista e decisionista anche quando sbagliava e si può sbagliare perché siamo esseri umani. Ma nessuno ha mai protestato davanti a lui, questo mi ha impressionato. Poi è arrivato Tagliavento… Eh sì, stessa sezione».
Al di là della sua traumatica esperienza, non c’è una sorta di “rispetto” maggiore per una donna arbitro?
«Nessuna differenza, anzi: le posso confessare che il vocabolario degli insulti è più ampio, si comincia sempre quando si fa il riscaldamento e sempre dal fatto che chi si sta riscaldando è una… poco di buono. Ci siamo capiti».
Un salto avanti, ma la curiosità è forte: perché è servito che venisse picchiato Riccardo Bernardini, l’arbitro della sezione di Ciampino aggredito a Roma, quartiere San Basilio, perché si parlasse di lei?
«Nessuno sapeva nulla, neanche i miei… vicini di casa. Siamo sempre davanti ad un muro d’omertà, ed in questo l’Aia e la Figc non aiutano, anzi, credo che per loro sia stata un problema».
Ha detto che la sezione, l’associazione, erano una famiglia. Perché adesso li ha presi di mira?
«A parte la prima sera e a parte l’attuale presidente del CRA, Ciancaleoni, lui sì carinissimo, nessuno si è mai fatto sentire, nessuno ha mostrato solidarietà. Né l’allora presidente del Comitato regionale, Fiorucci, né il presidente Nicchi. Perché? Che colpa avevo? Cosa avevo fatto di male? La verità è che il calcio e tutto quello che gli gira intorno vedono gli arbitri come dei nemici. E siamo senza tutela, né della Federcalcio né dell’Aia, siamo mandati allo sbaraglio spesso in mezzo a veri animali».
Punizioni troppo deboli, sembra di capire…
«Cominciamo a radiare le società, così anche loro ci pensano prima di mettersi in squadra personaggi del genere. E poi chi mi ha colpito veniva da tre giornate di squalifica e aveva un conto in sospeso dall’anno precedente con quello che ha aggredito prima di me. Perché non l’hanno radiato?».
Da assessore allo sport, si sta già muovendo in questa direzione?
«Ho incontrato le società del territorio per cercare di sensibilizzarle, aspetto risposte concrete, non solo parole o qualche cartello appeso ai cancelli. Bisogna tenere a bada soprattutto i genitori. A tutti loro dico: potrebbe succedere a vostro figlio»
Lei è mamma di un bambino di quasi tre anni…

«Che non farà mai l’arbitro e né mai il calciatore…. l’altro giorno ha preso il pallone e ha cominciato a tirare calci. Gli ho detto che il pallone si prende con le mani, non con i piedi….».
Ha contattato Riccardo Bernardini?
«No, perché capisco cosa sta passando. Quando starà meglio lo farò, lui ora deve pensare a rimettersi. Lo chiamerò con calma. Sono contenta per lui che non abbia subito quello che ho subito io. La supererà, anzi voglio dirgli che deve tornare in campo».
Se non lo ha ancora fatto, riuscirà a perdonare? Fosse anche solo questo mondo che ora sembra odiare…
«Li ho perdonati, sì…»

fonte:corrieredellosport