La marcia anticamorra non parte. Venti persone tra cui gli organizzatori sono davvero pochi per un corteo che avrebbe dovuto attraversare il rione Savorito e passare davanti all’area dove la notte dell’Immacolata fu acceso il falò contro i pentiti. Davanti alle minacce scritte e al manichino appeso alla pira di legno illegale, la città che si indigna su una tastiera si gira dall’altra parte. L’evento era stato organizzato dalla fondazione Progetto Famiglia assieme ai sindacati e ad associazioni che avevano dato il loro appoggio: eppure ieri mattina in via Savorito non c’era nessuno. Mail, sms, telefonate erano arrivate a tutti: politici, mondo della scuola, associazioni, parroci, operai, nessuno tra questi ieri mattina ha avuto il tempo raggiungere la periferia nord della città. Massiccia invece la presenza delle forze dell’ordine, il primo dirigente del commissariato Vincenzo Gioia aveva disposto decine di agenti e tre camionette, per i carabinieri c’era il maggiore Donato Pontassuglia e con i vigili urbani con il neocomandante Alfonso Mercurio. Gli agenti però erano più dei partecipanti.
L’IMBARAZZO
Di fronte al murales che indica l’accesso al «bronx Faito» c’è solo silenzio e imbarazzo. «La città ha paura e non ha voglia di mettersi in gioco commenta Nino Di Maio, organizzatore della marcia avremo concluso questa mattinata regalando un libro a tutti i partecipanti, per dare un segnale di rinascita culturale». Ad ascoltarlo si riuniscono in cerchio i pochi presenti: il gruppo stabiese del Movimento Cinque Stelle con le parlamentari Teresa Manzo e Carmen di Lauro e il consigliere Francesco Nappi, il deputato e membro della commissione parlamentare antimafia Andrea Caso, il coordinamento di Leu con Tonino Scala e Laura della Monica, Michele Aprea ed Ernesto Sica di FdI. Fino a poco prima c’era anche il sindaco di Castellammare Gaetano Cimmino, accompagnato dal presidente del consiglio Vincenzo Ungaro e dal consigliere Emanuele D’Apice. «La mia presenza al corteo anticamorra era un atto dovuto per testimoniare che noi siamo sempre in prima fila nelle battaglie di legalità», commenterà al suo rientro nel palazzo comunale il primo cittadino: «Mi auguro che la scarsa partecipazione all’evento sia dipesa da un’organizzazione non impeccabile visto che è mancata una comunicazione adeguata». È questo il tema che gira tra i presenti, pochi sapevano. «È stato un errore organizzare una manifestazione così importante il lunedì mattina alle 9 commenta Tonino Scala – la gente era per la maggior parte al lavoro». Una visione che divide, perché mancavano i cittadini ma soprattutto le associazioni in una realtà che conta uno sportello antiracket, la presenza di Libera in un bene confiscato alla camorra e decine di circoli culturali e sociali. «Una situazione drammatica spiega Matteo Vitagliano della Cisl – questa è una mazzata per Castellammare, una sconfitta per le istituzioni. Chiediamo che venga convocato un consiglio comunale monotematico per discutere di quanto accaduto negli ultimi 15 giorni in città».
LA CHIESA
«Non servono le fiaccolate ma la presenza costante dello Stato commenta il parroco del rione don Antonio Santarpia qui c’è un problema sociale grosso, fatto di emarginazione. Non ci sono scuse per la scarsa presenza ma le cattive abitudini non vengono corrette così». La Chiesa tutta aveva scritto una lettera aperta alla città, letta domenica durante le messe. «Siamo convinti che alla denuncia di quanto accaduto si debba sempre accompagnare una più intensa opera di educazione e di formazione delle coscienze». Dai balconi le donne osservano gli intrusi che per poco più di un’ora hanno invaso il rione. Nessuno scende di casa, persino i negozi sono vuoti, la spesa comincia dopo le dieci quando le camionette si allontanano. Qualcuno sussurra che tutto questo clamore non piace a chi comanda nel quartiere e che il gesto dello striscione non era stato concordato «con chi di dovere», e ora c’è solo da aspettare che passi quest’ondata.
«Io sono qui per sfilare, ma perché devo farlo tra i blindati? Non siamo un ghetto». Lello è fermo all’angolo, aspetta assieme a un amico che il corteo prenda forma, ma quando capisce che anche stavolta hanno vinto loro volta le spalle e torna tra le palazzine grigie tutte uguali aspettando la prossima manifestazione, quella già annunciata dal Comune: «In primavera organizzeremo una grande marcia con associazioni e parrocchie per esprimere la nostra voglia di riscatto contro la piaga della criminalità organizzata».
Lo striscione del falò della camorra era indirizzato agli arrestati del blitz di due giorni prima. Si fa sempre più largo un’ipotesi ancora più preoccupante, a Castellammare, a dieci giorni dall’installazione del lenzuolo con la scritta «così devono morire i pentiti, abbruciat». Era la notte dell’Immacolata, tradizionalmente festeggiata in città con i tipici «fucaracchi», falò ormai vietati da anni e spostati dall’amministrazione comunale sul lungomare, ma che in alcuni quartieri restano una triste abitudine. Non è nuovo, purtroppo, l’utilizzo della tradizione da parte dei clan di camorra, per lanciare messaggi o per affermare la propria supremazia, in rioni ad alto tasso di disoccupazione e forte presenza della criminalità organizzata. Quello avvenuto nel rione Savorito, nel cosiddetto «bronx Faito», è il più semplice e diretto messaggio a chi collabora con la giustizia. Ma, secondo l’Antimafia, non solo verso chi ha già dato un contributo agli inquirenti, bensì a chi avrebbe potuto scegliere di intraprendere la via della collaborazione dopo l’ultimo blitz condotto dalla polizia proprio a Castellammare, con l’arresto di tutti i capi dei quattro clan dell’area stabiese e di alcuni imprenditori ritenuti collusi con il sistema camorristico.
IL COLLETTO BIANCO
Tra questi c’è Adolfo Greco, 68enne imprenditore del latte con un passato da uomo di fiducia del superboss della Nco Raffaele Cutolo. Proprio nella città in cui la Nco non ha mai attecchito per la presenza, forte, dei clan Cesarano e D’Alessandro, Greco ha costruito successivamente il suo impero imprenditoriale tra latte e «mattone», diventando vittima degli esattori dei vari clan. Dalle indagini, coordinate dal sostituto procuratore Giuseppe Cimmarotta e dal pool della Direzione distrettuale Antimafia di Napoli, è emerso un quadro agghiacciante, con Greco che pagava indistintamente il pizzo a quattro clan: D’Alessandro e Cesarano in primis, ma con rapporti anche con i gragnanesi Di Martino e con gli Afeltra, che controllano il malaffare a Pimonte e Agerola. I due reggenti dei clan dei Lattari, però, nel frattempo sono ancora irreperibili: Antonio Di Martino, primogenito del boss Leonardo o lione, e Raffaele Afeltra, alias o burraccione, sono tuttora latitanti, dopo essere sfuggiti al blitz. Assistiti rispettivamente dagli avvocati Antonio de Martino e Francesco Attanasio, si sono rivolti entrambi al Riesame, che esaminerà la loro istanza entro fine settimana. Oggi, invece, toccherà già a Greco e a Giovanni Cesarano presentarsi dinanzi al tribunale della libertà di Napoli per chiedere l’annullamento dell’ordinanza. Greco, difeso dagli avvocati Giuseppe Maiello e Michele Riggi, chiederà almeno la sostituzione della misura cautelare per lasciare il carcere prima del Natale. Accusato di estorsione aggravata per aver imposto al cognato l’assunzione di un parente di un affiliato al clan D’Alessandro e aver «consegnato» nelle mani degli Afeltra un altro imprenditore suggerendogli di arrendersi al racket, proverà a respingere le accuse.