Salerno piange Mario Pantaleone la storia della pasticceria

Salerno piange Mario Pantaleone la storia della pasticceria Via Duomo 33, una mattina uggiosa, gravida di pioggia, ma nel portone, trasformato in un giardino di fasci di fiori e corone, c’è già una lunga teoria di amici che s’inerpica sulle scale per l’ultimo saluto alla salma composta di Mario Pantaleone. In strada e in chiesa la folla sterminata in rappresentanza di una Salerno orfana di uno degli ultimi presidi di identità, professionisti, commercianti, politici, persone comuni: Mario era patrimonio collettivo. Tra loro il sindaco Vincenzo Napoli. «Un amico – confida prima di entrare nella cattedrale dove sono stati celebrati ieri mattina i funerali – In via Mercanti avevamo una sorta di comunità che ci accoglieva tutti e che si va estinguendo. Con Mario c’era un affetto particolare legato a mio padre, spesso mi chiamava Ninuccio come lui. Con l’amministrazione stavamo organizzando un giorno particolare per i 150 anni della sua fabbrica di dolcezze, il tributo avrà ora un doppio significato». De Luca, grande ammiratore, è assente, ma il governatore della Campania mercoledì mattina, appena appresa la notizia della scomparsa, ha scritto un messaggio di cordoglio a titolo personale ed istituzionale. Resta il rammarico della sorpresa che gli stava preparando, la proposta al Capo dello Stato di nominarlo Cavaliere del Lavoro per la sua grande capacità imprenditoriale.
Un monumento Mario Pantaleone. Sconvolto il figlio Francesco, ma con orgoglio promette: «Il brand Pantaleone continuerà secondo i suoi insegnamenti umani e professionali. Nel suo nome e nel ricordo di zio Gino, scomparso 33 anni fa, dedicheremo loro una giornata speciale». «Se ne va una parte di me; mi sento così amputata di un pezzo di cuore e di corpo. Gli sono stata sempre vicina come lui lo è stato con me. Mi aveva dedicato una torta che viene sempre richiesta», la figlia Giulia, si scioglie in lacrime tra le braccia degli amici. Alfonso e Lucio, i nipoti, che da piccoli hanno sofferto lo stesso intenso dolore, faranno un’unica squadra con i cugini. Mario e la sua vita erano raccolte in decine di metri, tra via Mercanti e via Duomo. Il feretro, portato a spalla, parte dall’abitazione e sosta pochi minuti davanti l’Antica Dolceria, poi su con la macchina davanti agli scaloni del Duomo, accolto da applausi. «Vivifichiamo la nostra fede nell’abbraccio e nell’accompagnare Mario, uomo buono e gentile, in quest’ultimo viaggio terreno». Il parroco don Michele Pecoraro, lo ricorda e invita tutti alla riflessione citando un passo di Giobbe: «Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio».
LA CERIMONIA
Commossa, intensa celebrazione, sottolineata dal canto preghiera di un soprano (il dono di Antonio Marzullo); poi ognuno si lascia andare a un amarcord. «Mario è un pezzo di storia nella presenza civile e culturale della città, oltre che per gli intrecci familiari; il che accentua il dolore. Un flash tra tanti… quando accolse il ministro della Cultura ungherese nel suo tempio dolciario», è il frammento di memoria di Alfonso Andria. «Mario è stato un maestro e una sorta di ambasciatore di Salerno in Italia e nel mondo, un simbolo identitario della città; scambiava opinioni e saluti con tutti», è il pensiero di Tino Iannuzzi. Affranto Antonio Bottiglieri: «Ecco sparito un altro punto di riferimento della città, luogo di dialogo, di appuntamenti di piacere come una volta lo erano alcuni negozi salotto come quello di Alfonso Tafuri». «È stato l’emblema della cucina salernitana; un creativo. Pochi sanno che la scazzetta del cardinale con la glassa di fragoline aveva la variante al cioccolato dedicata ai monaci. E dai conventi aveva rubato i segreti di bontà come il divino amore, i susamielli. I suoi cantuccini, poi, erano completamente diversi da quelli toscani»: di arte dolciaria parla con competenza e commozione Fernando Cappuccio. «Era così felice della nascita del nipotino, Mario come lui; ho condiviso 50 anni di vita, di amicizia e di commercio; loro avevano finito di studiare e io mettevo su il Jamaica. Ristrutturarono l’antica pasticceria e da allora ho condiviso con i Pantaleone ogni giorno della mia vita e attività», è ancora stranito il ristoratore Raimondo Piombino. «Aveva fatto il servizio militare in Sardegna e aveva notato come nelle pasticcerie si vendessero le fette di torta. Così tornato a Salerno cominciò a far realizzare torte da 3 chili; le esponeva in prima fila e al taglio. È uno dei tanti racconti di 25 anni di frequentazione, uno di fronte all’altro», ricorda Andrea Lamberti del negozio D’Urso. Marcello Napoli

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