Auto, ecotassa da marzo: corsa contro il tempo per non pagarla
Il bastone e la carota. Ed è corsa contro il tempo per evitare l’ecotassa. Questa la strada scelta dal governo per intervenire sulla tassazione che graverà sull’automobile. La filosofia del bonus-malus, che penalizza i comportamenti ritenuti meno rispettosi nei confronti dell’ambiente e premia chi al volante si dimostra più sensibile al richiamo della sostenibilità, ha trovato espressione concreta nell’emendamento alla legge di bilancio 2019 approvata in fotofinish il 30 dicembre. Il nuovo trattamento fiscale entrerà in vigore dal 1° marzo prossimo, quindi chi intende acquistare un’auto evitando il malus farà bene a sbrigarsi. Anche se non è detto che scadenze e termini siano davvero definitivi, vista la dimostrata abilità del governo giallo-verde nell’ingranare la retromarcia di fronte e reazioni non previste.
I DATI
Allo stato attuale, comunque, possiamo senz’altro dire che il bastone pesa più della carota. Nei minuziosi e documentati elenchi stilati da Quattroruote abbiamo contato 67 modelli – in genere elettrici con qualche sparuta incursione nel mondo dell’ibrido standard e plug-in – in possesso dei requisiti (emissioni di CO2 inferiori ai 70 g/km e listino non superiore ai 50.000 euro più Iva) che danno diritto al bonus del valore massimo, in caso di rottamazione di un veicolo vecchio e inquinante, di 6.000 euro.
I DETTAGLI
Se però andiamo a curiosare dietro la lavagna, scopriamo che nel posto tradizionalmente riservato ai «cattivi» si affollano ben 1.294 diversi modelli che superano 160 g/km di CO2, tra l’altro calcolati secondo l’ormai obsoleta procedura Nedc e non in base al più realistico ciclo di omologazione Wltp. Proprio tra queste auto dovrebbe accelerare la scelta chi volesse evitare la scure del fisco, che peraltro si abbatte con una certa gradualità. L’ecotassa parte infatti da 1.100 euro, ma sale a 1.600 se l’auto supera 175 g/km, a 2.000 oltre quota 200 per raggiungere il top di 2.500 se il valore di omologazione supera i 250 g/km. Data la vastità della schiera, impossibile pensare a un campionario completo delle vetture passibili del nuovo balzello, con le relative conseguenze sul prezzo finale. Ci limitiamo quindi ad alcuni esempi che riguardano auto di larga diffusione o particolarmente appetibili, cominciando da alcuni modelli made in Italy come la Giulietta, per la quale nulla cambia nel caso delle motorizzazioni turbodiesel, mentre a pagare pegno è il motore 1.4 turbo a benzina da 120 cv che, a causa dei 164 g/km, vedrà il suo listino passare per la versione d’ingresso da 24.500 e 25.600 euro optional esclusi, ovviamente. Paradossalmente la più grande e potente Giulia spinta dal 2.0 a benzina è immune da qualsiasi aumento, almeno per quanto riguarda le tre versioni Business, Super ed Executive che sfiorano, ma non superano, il «fatidico» limite.
I PARTICOLARI
Certificato di nascita italiano (è prodotta a Melfi), ma doppio passaporto per la Jeep Renegade. Anche il Suv compatto del gruppo Fca, primo nelle vendite di categoria e quinto nella graduatoria assoluta, deve fare i conti con il «carovita» quando propone il motore più potente: il turbodiesel 2.0 Multijet da 140 cv e 170 cv è infatti soggetto al balzello di 1.100 euro che ne fanno lievitare il listino a 34.500 e a 37.800 euro rispettivamente. Restando al mondo dei Suv, non la fa franca neppure la “piccola” (è lunga 4 metri) Suzuki Jimny. Nuovissima e simpatica, grazie al suo motore 1.5 da 102 cv riesce a uscire indenne con il cambio manuale, mentre con la trasmissione automatica arriva a 170 g/km che fanno così lievitare il suo listino da 24.000 a 25.100 euro. Neppure le auto ibride se la sfangano. Almeno non tutte. Per esempio l’ammiraglia Lexus LS Hybrid, pur fissando con 166 g/km un limite quasi prodigioso per un’auto di 5,24 metri con 359 cv, deve fare i conti con la tassa di 1.100 euro che comunque, visto il prezzo base di 105.000 euro, difficilmente scoraggerà i potenziali acquirenti.
di Giampiero Bottino LEGGO