Non c’è un giorno da perdere Antologia degli scritti meridionali inediti di Manlio Rossi Doria sull’Irpinia e Guido Dorso – Pensiero di Giuseppe Liuccio

25 gennaio 2019 | 10:15
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Non c’è un giorno da perdere Antologia degli scritti meridionali inediti di Manlio Rossi Doria sull’Irpinia e Guido Dorso – Pensiero di Giuseppe Liuccio

Ricerviamo e pubblichiamo

Ho letto con vorace entusiasmo la bella Antologia degli scritti editi ed inediti sull’Irpinia e su Guido Dorso, curata da Giuseppe Iuliano e Paolo Saggese con una straordinaria introduzione di Gilberto Antonio Marselli. Ho fatto un bel salto all’indietro di decenni ed ho rivissuto gli anni della passione politica e culturale della giovinezza alla riscoperta del panteon dei Padri del meridionalismo classico e, con emozione e commozione, ho riletto parte della prefazione del compianto Franco Compasso al mio saggio “L’ONORE DEL SUD” (Edizioni Scientifiche Meridionali-1993) che nulla concede alla retorica, nella sua lucida e appassionata ricerca e difesa delle ragioni del meridionalismo che non si rifugia nella protesta, rifiutandone gli esiti devastanti. L’onore del Sud è, dunque, la sua dignità tradita dalle pratiche di un assistenzialismo corrotto e corruttore, è la sua identità storico civile e culturale ignorata ed umiliata dal leghismo, è la ragion stessa del Mezzogiorno che non si è arreso, che non si arrende, che vuole impegnarsi e battersi per vincere le cause antiche e nuoce del degrado e della violenza. E a questi obiettivi e, più in generale, alla questione civile della politica come strumento di crescita della società, il meridionalismo classi o, da Giustino Fortunato a Gaetano Salvemini, da Guido Dorso, a Manlio Rossi Doria ha dedicato riflessioni che sono ancora attuali, e per seppellirle definitivamente sotto le macerie dei suoi fallimenti un certo modo di fare politica nel Sud, che abbiamo conosciuto e che abbiamo combattuto sul piano culturale, abbandonando un certo meridionalismo querulo e lagnoso sordo, però, a farsi da parte alla stessa stregua dell’assistenzialismo clientelare che ha salde le radici nella stagnazione e nell’immobilismo.

Le riflessioni di Paolo Saggese si concentrano sul periodo storico vissuto ed esaminato tra Rossi Doria e l’Irpinia tra Rossi Doria e Guido Dorso viene sintetizzato tra sconfitta politica e vittoria ideale, quindi lo stesso Rossi Dori comunica ai tuoi lettori tutto l’entusiasmo per il suo lavoro, e per aver rivisitato la sua Basilicata e poter continuare a riprendere ancora dai  nostri  vecchi, don Giustino in particolare. Insomma, l’animo infiammato da gran passione che c’è ancora! E Saggese va subito sul concreto nello scambio di idee che puntualizza il fitto epistolario tra i due: In un’epoca in cui dovrebbe essere più attuale e prioritaria la discussione sulla non “obsoleta questione meridionale” non privo di significato sulla figura di due testoni del meridionalismo novecentesco. Saggese fa necessariamente riiferimentoad una biografia esaustiva, che Simone Misiani ha dedicato a Manlio Rossi Doria, e che ha per titolo Manlio Rossi Doria, “Un riformatore del Novecento”, e che gli consente di soffermarsi su “Il riformista incompiuto”; cosa questa che su tutta la lunga battaglia, interna ed esterna alle forze della Sinistra storica, per garantire a Rossi Doria di avere la candidatura nel collegio elettorale per il Senato di Sant’Angelo dei Lombardi ,cosa questa che avvenne per ‘intervento determinante e decisivo di Francesco De Martino, segretario del PSI. Siamo nel 1968 e Rossi Doria riempie fin da subito riempie di contenuti il suo programma elettorale impostando la questione meridionale, proponendo una soluzione economica e non solo politica-ideologica, ma sottolineando i concetti noti e dibattuti: alleanza di operai contadini e con il rigore scientifico e la sua bravura professionale diede un contributo della sua formazione di caratura internazionale rilanciò il dibattito meridionale, l’autonomismo e rilanciando

il dibattito del mezzogiorno d’Italia in linea con le società più progredite d’Europa. Io di quel periodo ho ricordi lucidi, perché seguii la campagna elettorale di Manlio Rossi Doria e per una felice fortunata coincidenza ne divenni seguace convinto ed  entusiasta. Fui, infatti, candidato, giovanissimo alla Camera de Deputati, per la Circo0scrizione Salerno, Avellino e Benevento che includeva anche il collegio senatoria ledi Sant’Angelo dei Lombardi. Conobbi per la prima volta Rossi Doria a Grottaminarda. Ne seguii con interesse il suo comizio, cosa che feci in tutti paesi dell’avellinese che gravitavano politicamente nell’Alta Valle del Sele: Lioni, Teora, Calitri, Conza Sant’Andrea di Conza, ecc… E mi colpì di Rossi Doria la lucidità delle analisi, i progetti di sviluppo, l’efficacia del linguaggio con metafore immaginifiche ed ardite che avevano la forza dirompente, dei trattati dei meridionalisti e che erano entrati nel vocabolario dei miei comizi: “i 1oo uomini d’acciaio della Rivoluzione meridionale, di Guido Dorso, dello sfasciume pendolo sul mare di Giustino Fortunato a sottolineare il degrado dei paesi del mio Cilento, dell’osso e la polpa, che sottolineava la necessità di una zonizzazione del sud più interno ed emarginato di Rossi Doria. Quello stesso che ritrovo nello stile dei saggi firmati da Paolo Saggese e di Peppino Iuliano che danno qualità e spessore all’elaborazione del pensiero politico di Rossi Doria. Un linguaggio a me familiare per le battaglie combattute insieme per e nel centro di cultura e poesia del Sud di Nusco e che negli anni ho familiarizzato”. Quello del sistema clientelare e della politica dell’assistenzialismo, che avrebbero imbavagliato nuovamente il Sud e avrebbero allontanato la realizzazione di una democrazia compiuta. La riflessione conclusiva di Paolo Saggese si fa addirittura drammatica quando afferma “il maggiore ostacolo ad una rinascita del Sud, potremmo aggiungere interpretando un’idea, che da Gramsci e Dorso è arrivata sino a Rossi Doria e Muscetta, consiste nell’inconsistenza della classe dirigente meridionale, famelica, rapace, autoreferenziale, rivolta elusivamente a difendere i propri interessi, capace di godere di un potere ottuso e, clientelare, finché vi sarà questa classe dirigente, qualsiasi speculazione sulla questione meridionale sarà appannaggio di pochi utopisti condannati a teorizzazioni inconcludenti ed inefficaci, proprie di combattenticontro i mulini a vento diverso abbrivio ha la riflessione di Giuseppe Iuliano dal titolo “da una vita di terra alla terra divita”.

L’Irpinia ha un’anima di terra. Fragile ed ossificata,mistica ed eretica, statica e ballerina, mefitica e di grandi respiri ed orizzonti. Terra di anime sbadate, votate a pazienti attese ed accorate indulgenze, che nessun’acqua battesimale ha saputo mai liberare dal peccato originale. Irpinia, cuore ed identità del Mezzogiorno, suo punto geografico ed assortito “museo di gente”.

Ed ancora Terra, altare e sepolcro di vita… Agricoltura, comunione di astinenze, stimmate di serchie, ideale di bandiere rosse e tricolori, rosari di misteri dolorosi nella circolarità del tempo. Ed anche la chiusura è meno drammatica, con un pizzico di ottimismo in più, noi continueremo a credere in un’alba nuova,sull’esempio di Guido Dorso e Manlio Rossi Doria, lungo il perire dei secoli con nella mente e nel cuore l’impegno radicato nel profondo di versi di Rocco Scotellaro, senza alcuna stanchezza continueremo a credere nel miracolo di un nuovo giorno nuovo, un giorno che, forse, dovrebbe scrivere un piccolo saggio sull’amore per la Lucania, l’Irpinia e tutte le regioni emarginate del Sud, che oggi rompe i diaframmi del silenzio ed aggruma la nostra testimonianza.

La festa di Matera,capitale Europea della Cultura perfora di nuovi albori il buio dei secoli nel segno e nel nome della bellezza e della poesia.Forse ci tornerà il coraggioso impegno del progetto rivoluzionario della POESIA MERIDIANA; nella consapevolezza che la poesia è voce di speranza e di lotta per cancellare lo scandalo della ingiustizia conclamata tra mondi e classi spudoratamente ricchi a scialo di disponibilità per l’effimero ed il superfluo e i poveri vergognosamente in affanno tra bisogni ed esigenze elementari.Il poeta deve reclamare a voce alta e ferma ed esercitarlo con coraggio e senza tentennamenti,pena il tradimento alla sua funzione di testimone della società in cui vive per fecondare di speranza il presente e spalancare le porte di futuro. La rassegnazione non è né dell’intellettuale né tanto meno del poeta. La silente acquiescenza non appartiene alla cultura e tanto meno alla poesia. È ora di tornare con forza e con orgoglio al Mediterraneo delle partenze e degli approdi, perché noi siamo orgogliosamente intellettuali/migranti poeti a comprensione e tolleranza di poli migranti.Ma questo sarà il tema del mio prossimo articolo. È una promessa ed un impegno.

Giuseppe liuccio