Torna in carcere Vincenza Di Pino accusata, in concorso con Giuseppe Lima, dell’omicidio di Patrizia Attruia, avvenuto a Ravello nel marzo del 2015.
Per effetto della pronuncia da parte della Suprema Corte di Cassazione del 21 dicembre scorso che ha annullato la sentenza della Corte di Assise di appello di Salerno nella parte in cui è stata riconosciuta, alla donna, la minima partecipazione al fatto, intorno a mezzogiorno i Carabinieri della Stazione di Ravello hanno prelevato la 53enne dall’abitazione di Via Casanova, dove scontava il regime degli arresti domiciliari.
Tradotta presso la casa circondariale di Fuorni vi rimarrà in attesa del nuovo processo in Corte di Assise di Appello di Salerno come sentenziato dagli ermellini.
E dire che dallo scorso 20 aprile la Di Pino stava scontando la sua pena (di altri cinque anni) presso il domicilio dello zio Salvatore Gallo, in via Casanova, con possibilità di uscita ogni martedì e venerdì dalle 8 e 30 alle 10.
Un nuovo clamoroso capitolo, dunque, si aggiunge a questa saga dalle tinte sempre più fosche.
Già, perchè nell’aprile dello scorso anno la Corte d’Assise d’appello stabilì che a uccidere Patrizia non fu Enza. Da sola non avrebbe potuto eliminare la sua “antagonista”. A condannare da subito la povera donna, purtroppo, le sue stesse dichiarazioni rese la sera del 27 marzo quando si autoaccusò del delitto, per poi ritrattare, qualche settimana dopo, in un interrogatorio effettuato in carcere, nel quale riconobbe di essere stata costretta da Giuseppe Lima ad autoaccusarsi sotto minaccia. Altro che corpo ritrovato per caso dopo due giorni all’interno della cassapanca! Quel tempo fu necessario al Lima per esercitare terrorismo psicologico sulla povera Enza – tipica sindrome di Stoccolma – . Patrizia venne uccisa nella serata del 25 marzo al suo ritorno dal bar sotto casa. Aveva sorpreso il suo compagno, Peppe, a letto con Enza (i tre vivevano nella stessa abitazione da diversi mesi) e ne scaturì un momento di follia che portò a una violenta colluttazione e alla successiva morte della scafatese.
Per il Lima, che inizialmente fu soltanto accusato di occultamento di cadavere rimanendo in libertà per quasi due anni, il concorso in omicidio prima e ora l’accusa, pesantissima, di aver assassinato la sua donna.
Condannato, il 21 maggio 2018, a diciotto anni di reclusione, perché ritenuto responsabile – in concorso – dell’omicidio “volontario aggravato”.
La povera Enza, che ha già scontato tre anni di carcere, ha avuto l’unica colpa di aver ospitato in casa propria, all’inizio dell’inverno 2014, quella coppia di amici che viveva di stenti in una baracca poco distante. Definita una “spietata e cinica calcolatrice” (si leggeva nelle carte processuali), quando in realtà è ed è stata soltanto un’ingenua, figlia adottiva vissuta per gran parte della sua vita con la sola madre tra i cani e la terra, in un’abitazione fatiscente. Una donna che a cinquant’anni non possedeva una significativa cultura e non conosceva ancora il mondo (non sapeva cosa fosse un cubetto di ghiaccio sic!).
IL VESCOVADO DI RAVELLO