Vico Equense, PER UNA MANCIATA DI ”SCIOSCELLE”
PER UNA MANCIATA DI ”SCIOSCELLE” di Salvatore Grieco
Dopo l’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio, Vico fu terra di nessuno. Dal versante di Castellammare vi erano le truppe tedesche, da quello di Sorrento si trovavano gli alleati. Le prime notizie sul loro sbarco a Salerno erano vaghe. Noi ragazzi poveri di Vico aspettavamo, ma non potevamo starcene con le mani in mano. La nostra guerra quotidiana, quella della fame, dovevamo combatterla giorno dopo giorno, altrimenti non sarei qua a raccontarvi l’episodio. Il gruppo di cui facevo parte io era composto da cinque adolescenti . Per ovvi motivi, come i nomi dei luoghi non corrispondono a quelli reali. Ed eccovi i miei piccoli amici: allora Ciccio di Amalfi, tredici anni. Lavorava nel cantiere cui era stata affidata la realizzazione del tunnel della Circumvesuviana per Castellammare e Sorrento. Vincenzo, soprannominato l’Entomata; Pasquale, chiamato Il conte; Totò, meglio conosciuto come il Compagno per le sue idee politiche ed io.
Non ricordo più se proprio l’8 di Settembre o qualche giorno dopo partimmo in gruppo verso San Francesco seguendo la stradicciola dei mulini. Non ci faceva paura l’incontro con i militari. Disgrazia volle che dopo alcune centinai di metri dietro un muro di cinta scorgevano un gruppo carrubo; le scioscelle quasi tutte nere pronte per la maturazione. Prendevano a mazzetti tra le verdi foglie e anche a terra. Seguimmo il confine della proprietà senza trovare un varco, l’unico accesso era un cancelletto chiuso e senza perderci d’animo lo scavalcammo. Le prime carrube le raccogliemmo da terra mangiandole. Ad un tratto ci furono due spari. I segni dei pallini di piombo si impressero su di noi, come scoiattoli spaventati fuggimmo ferendoci nello scappare. Raggiungemmo velocemente San Francesco dove ci stava una fontanella che erogava acqua della Sperlonca e ci lavammo e giurammo che ci saremmo vendicati. Rivolgendomi a Ciccio gli ordinai di prendere dei candelotti di dinamite da mettere in un sacchetto del cemento e lasciarlo ai piedi del ponte di Santa Maria del Toro. Alcuni giorni dopo Ciccio mi bussò allo porta di casa dicendomi che il pacco era al suo posto, cosi andammo a San Francesco dove innescai le cariche. L’indomani verso mezzogiorno andammo a sorvegliare il cancello divelto.
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A distanza di cinquant’anni, accortomi che i canarini erano senza granaglie, scesi a Vico a comprarne. Nel negozio di Raffaele Scaramellino, scomparso di recente, vidi un sacco stracolmo di carrube. Ne preso una e la proprietaria, la vedova, me ne riempì un sacchetto. Stavo per pagargliele quando lei, accennando un sorriso che si disegnò sul volto distrutto dal dolore mi disse: ‘’No, non mi dovete niente, datemi solo il costo delle granaglie; sono duemilacinquecento lire”.
Tanti anni prima per una manciata di “scioscelle’’ io e i miei amici ci buscammo due fucilate.
Il negozio eredi Scaramellino dal 1958, domani passerà da Via Santa Sofia a Via Domenico Caccioppoli.